Con gesti, parole e sguardi intrecciati di dolore e speranza, il Festival Nazionale dell’Economia Civile ha inaugurato la settima edizione offrendo al pubblico un laboratorio dedicato all’arte di ricucire la pace dove i conflitti hanno lasciato strappi profondi.

Le fondamenta del dialogo ritrovato
La prima giornata, seguita sul posto da Sbircia la Notizia Magazine e verificata in collaborazione con l’agenzia Adnkronos, ha trasformato il centro congressi che ospita la rassegna in un laboratorio vivo di intelligenza relazionale. Manager, studenti, docenti e cittadini comuni hanno condiviso lo stesso tavolo per sperimentare strumenti concreti di giustizia riparativa. Tra tavole rotonde informali, esercizi di ascolto attivo e schede di lavoro, è emersa l’urgenza, quasi fisica, di creare uno spazio nei conflitti in cui la parola torni a essere ponte e non barriera, riportando al centro la relazione umana come motore di cambiamento sociale.
Il dialogo è stato guidato da Giovanni Grandi, docente di Filosofia Morale all’Università degli Studi di Trieste, che ha spostato l’attenzione dal concetto astratto di pace al metodo pragmatico della riparazione. Nessun torto si riequilibra infliggendo altro dolore, ha ribadito; la vera sfida è ricostruire il tessuto condiviso scoprendo la vicinanza nascosta anche tra le parti più distanti. L’invito, rilanciato più volte, è stato quello di sedersi con chi si considera “nemico”, affrontare temi scomodi e immaginare insieme un futuro in cui la giustizia non significhi vendetta bensì cura collettiva delle ferite aperte.
Quando le storie personali illuminano il cammino collettivo
Il momento più intenso è arrivato quando due giovani di Rondine Cittadella della Pace, una studentessa ucraina e un coetaneo russo, hanno intrecciato i loro ricordi d’infanzia segnata dalla guerra. Valeria Kozeletska ha evocato il 2014, anno in cui, a soli tredici anni, la successione di servizi televisivi le fece comprendere che la normalità stava cedendo il passo al conflitto armato. L’informazione ripetuta, ha raccontato, divenne presto consapevolezza lacerante. Poi, il 24 febbraio di alcuni anni dopo, un’altra scossa: quel giorno, ha confessato, ha sconvolto ogni equilibrio, mutando prospettive che credeva stabili e obbligandola a cercare nuove strade di speranza.
Accanto a lei, Atzamaz Misikov ha riaperto la pagina più dolorosa della propria vita: il settembre 2004 di Beslan. Il suo primo giorno di scuola, ha ricordato, non fu festa ma sequestro: insieme ai familiari finì ostaggio nel più vasto attacco terroristico mai diretto contro bambini. Nella palestra gremita vide cadere amici, insegnanti, compagni di banco. Raccontando quelle ore, il ragazzo non ha cercato pietà; ha mostrato come il ricordo, se condiviso, possa diventare strumento per impedire che l’odio si riproduca. La sala, colma di partecipanti, ha ascoltato in un silenzio denso che valeva più di ogni applauso, testimoniando la forza catartica delle narrazioni vissute.
Il Festival come cantiere permanente di pace
La direzione del Festival Nazionale dell’Economia Civile ha annunciato che, d’ora in avanti, la manifestazione ospiterà ogni anno un panel dedicato alla costruzione di percorsi di pace, trasformando la rassegna in un vero e proprio laboratorio permanente. La decisione, maturata ascoltando le voci dei giovani di Rondine, risponde alla convinzione che l’economia civile non possa prescindere dal tessuto relazionale che ne garantisce la sostenibilità. Pace e sviluppo, è stato ripetuto più volte, non sono capitoli separati ma pagine dello stesso manuale di convivenza.
Il progetto prevede workshop interattivi, momenti di formazione condivisa e spazi di confronto in cui rappresentanti di realtà sociali, istituzioni e imprese potranno tradurre in azioni tangibili i principi della giustizia riparativa. Gli organizzatori, sostenuti dal lavoro di verifica con Adnkronos, hanno chiarito che l’obiettivo è coinvolgere sempre più giovani provenienti da contesti di conflitto, puntando sulla forza del racconto biografico come leva di trasformazione collettiva. Solo quando la sofferenza individuale viene riconosciuta e ascoltata – è il credo del Festival – la comunità può imparare a rinascere.
Domande al volo
Nel corso del laboratorio molti partecipanti hanno chiesto chiarimenti su metodi, obiettivi e prospettive. Sbircia la Notizia Magazine, con il supporto di Adnkronos, ha raccolto le questioni più frequenti e le relative risposte, offrendo uno sguardo immediato ma accurato sui temi emersi.
Qual è l’essenza dell’intelligenza relazionale presentata nel laboratorio? L’intelligenza relazionale, spiegano i facilitatori, non è un semplice invito alla gentilezza, bensì la capacità di leggere le dinamiche emotive che attraversano un conflitto e di tradurle in soluzioni condivise. Significa riconoscere il dolore dell’altro senza contestarlo, costruire un linguaggio comune e accettare che la riparazione presupponga la corresponsabilità di tutte le parti. Nel laboratorio si è lavorato con esercizi pratici di ascolto attivo e role-playing, così che i partecipanti potessero sperimentare la potenza trasformativa di un dialogo autentico.
In che modo le testimonianze personali di Valeria e Atzamaz influenzano l’approccio formativo del Festival? Il racconto di esperienze vissute in prima persona è stato indicato come strumento pedagogico di enorme efficacia. Quando un conflitto entra nella vita di un adolescente, lascia impronte che solo la narrazione può rendere visibili. Gli organizzatori sottolineano che ascoltando quelle voci i partecipanti abbandonano stereotipi e comprendono che la pace non è un’astrazione, ma una necessità concreta. Le storie di Valeria e Atzamaz hanno orientato il laboratorio verso esercizi centrati sull’incontro con l’altro, trasformando la memoria del dolore in alleanza.
Perché inserire, in un evento dedicato all’economia civile, un percorso sul tema della pace? Secondo il comitato scientifico – dicono le verifiche effettuate con Adnkronos – l’economia civile nasce dall’idea che la crescita debba essere inclusiva e orientata al bene comune. Non può quindi ignorare gli impatti che i conflitti hanno sul tessuto sociale. Introdurre percorsi di pace significa investire preventivamente in capitale relazionale, riducendo i costi futuri di ricostruzione e assistenza. In questo senso, giustizia riparativa e bilanci d’impresa si incontrano in un’ottica di lungo periodo che premia la fiducia reciproca.
Il laboratorio diventerà una costante delle prossime edizioni? Gli organizzatori hanno confermato che la sessione dedicata alla pace non resterà un episodio isolato. Ogni nuova edizione del Festival proporrà panel, workshop e ricerche d’impatto per misurare i progressi delle iniziative avviate. Verranno coinvolti sempre più giovani di contesti internazionali, così da alimentare il dialogo con una pluralità di esperienze. Inoltre, sarà attivata una piattaforma online per mantenere vivo il confronto durante l’anno, garantendo continuità e monitoraggio dei risultati.
Sguardo condiviso verso il domani
La settima edizione del Festival ci dimostra che la pace non è un orizzonte distante, ma un percorso disseminato di ostacoli che tuttavia ci appartiene fin dal primo gesto di ascolto reciproco. Abbiamo visto come l’economia, quando pone la persona al centro, diventi leva di riconciliazione, e come le storie più dure spalanchino finestre alla speranza. Il futuro della rassegna, ricordano gli organizzatori, passa dalla volontà di misurare l’impatto delle parole sul vivere quotidiano, trasformando costantemente la teoria in prassi.
Come redazione, continueremo a seguire l’evoluzione di questo cantiere di idee, certi che ogni voce ascoltata sia un mattone indispensabile per costruire la casa comune evocata dagli ideatori. La collaborazione con Adnkronos ci permette di garantire ai lettori una verifica puntuale dei fatti, mentre la partecipazione dei giovani di Rondine Cittadella della Pace conferma che la diplomazia del quotidiano, fatta di incontri reali e rispetto reciproco, può ottenere risultati che la politica internazionale fatica a raggiungere. Raccontare questi processi, con onestà e rigore, è la nostra responsabilità e il nostro impegno.