Mentre cresce la pressione per il ritorno dei resti degli ostaggi, Israele prepara una nuova demarcazione nella Striscia di Gaza e dagli Stati Uniti arriva un avvertimento senza giri di parole a Hamas. Tra diplomazia e cronaca, il quadro resta teso e confuso, con la tregua appesa alla restituzione delle salme.

Una tregua sospesa sul filo dei corpi
La fragilità dell’intesa negoziata in Egitto emerge in tutta la sua durezza: per Tel Aviv la prova decisiva è la consegna dei resti dei rapiti uccisi in prigionia. Secondo ricostruzioni giornalistiche internazionali, Israele accusa Hamas di trattenere ancora parte delle salme e di violare gli impegni presi, mentre i mediatori tentano di evitare che il braccio di ferro travolga il cessate il fuoco. In particolare, agenzie e quotidiani parlano di un contenzioso su un numero rilevante di corpi, con stime che oscillano tra 19 e oltre 20, a seconda delle verifiche incrociate effettuate in questi giorni.
Il quadro dei rilasci aggiunge complessità. Nella prima fase dell’accordo, Hamas ha liberato circa venti ostaggi vivi, mentre per i resti dei deceduti i tempi si stanno dilatando. La spiegazione fornita dalla controparte palestinese evoca ostacoli materiali: gran parte delle spoglie sarebbe sotto macerie o in tunnel crollati, tra ordigni inesplosi e accessi interdetti. Nel frattempo, Israele ha consegnato a Gaza decine di salme palestinesi nell’ambito di scambi paralleli, mentre i forensi lavorano alle identificazioni. Le differenze nei numeri, riportate da testate diverse, alimentano l’incertezza e acuiscono la sfiducia reciproca.
La ‘linea gialla’: la nuova geografia del conflitto
Nel cuore della Striscia, il ministro della Difesa Israel Katz ha disposto la posa di segnali fisici lungo la cosiddetta “linea gialla”, il tracciato che delimita l’area di ripiegamento iniziale delle Idf. L’obiettivo dichiarato è rendere visibile il confine operativo tra zone sotto controllo militare israeliano e aree fuori dalla loro giurisdizione, con l’avvertenza che ogni violazione sarà respinta con la forza. L’iniziativa, rilanciata anche con immagini pubblicate sui social del ministro, mira a ridurre incidenti e frizioni in un territorio sfigurato da mesi di guerra.
Questa demarcazione richiama simbolicamente i “barili blu” che da anni punteggiano la Blue Line tra Israele e Libano, installati da UNIFIL per segnalare con chiarezza una linea di ritiro e prevenire sconfinamenti involontari. Pur trattandosi di contesti differenti, l’analogia visiva è evidente e racconta un metodo: marcare lo spazio per governare il rischio. Sulla mappa della tregua, elaborazioni indipendenti indicano che l’area sotto controllo israeliano resti comunque ampia, superiore alla metà della Striscia, con varianti a seconda delle stime disponibili.
Pressioni da Washington e il ruolo dell’inviato speciale
Dagli Stati Uniti è arrivato un messaggio perentorio: il presidente Donald Trump ha avvertito che, se dovessero proseguire le uccisioni interne a Gaza, ci sarebbe un intervento contro Hamas, pur precisando in seguito che non coinvolgerebbe truppe americane. Il monito, affidato a un post e poi ribadito ai cronisti, segna una stretta politica sulla linea già tracciata dalla Casa Bianca per far rispettare gli impegni dell’accordo, a partire dalla restituzione dei resti e dal disarmo del movimento islamista.
Nel frattempo, l’inviato speciale Steve Witkoff ha rimarcato in pubblico la priorità umanitaria del rientro di tutte le salme, facendo riferimento alle iniziative coordinate con intelligence israeliana e team esteri per localizzare i resti. Le sue parole, pronunciate al U.S. Holocaust Memorial Museum nell’anniversario del 7 ottobre, riflettono la strategia diplomatica in corso: combinare pressione politica, canali di mediazione e atti concreti di cooperazione tecnica per chiudere il dossier più doloroso della crisi.
Diplomazia a Napoli, accuse incrociate e mediazione europea
Sul fronte europeo, i riflettori si sono accesi a Napoli, dove la nuova edizione dei MED Dialogues ha riunito ministri e delegazioni in un momento cruciale. Qui il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar ha ribadito che Hamas sta violando l’intesa trattenendo i resti e ha sollecitato una consegna “immediata”. Sa’ar ha anche denunciato esecuzioni di palestinesi nella Striscia attribuite al movimento islamista, mentre altre fonti internazionali raccontano di pene capitali rivendicate come giustizia interna ai clan criminali. La sovrapposizione di narrative opposte conferma l’estrema opacità del quadro.
Nello stesso contesto, l’Italia ha rilanciato il perno mediterraneo del negoziato: a pochi giorni dalla firma della tregua a Sharm el-Sheikh, l’evento partenopeo ha dato sponda ai contatti tra attori regionali e partner occidentali, con l’ipotesi di strumenti europei a supporto della sicurezza e della fase post-bellica. In parallelo, si ragiona sulla mobilità alle frontiere: si prospetta la riapertura del varco di Rafah per il transito di persone, mentre gli aiuti continuerebbero a passare da Kerem Shalom, secondo i termini discussi con i mediatori.
Cisgiordania, il dolore di al-Rihiya: la morte di un undicenne
La cronaca dalla Cisgiordania accende un’altra spia rossa. Nel villaggio di al-Rihiya, a sud di Hebron, un bambino di 11 anni, identificato come Mohammad Bahjat Al-Hallaq, è deceduto dopo essere stato raggiunto da un colpo d’arma da fuoco. Le testimonianze locali lo descrivono mentre giocava a calcio nel cortile di una scuola con altri coetanei, prima del trasferimento d’urgenza in ospedale e della morte sopraggiunta in serata. La notizia è stata rilanciata dall’agenzia ufficiale palestinese e da testate regionali.
L’Idf ha fatto sapere di aver aperto un’indagine sull’episodio e, nelle prime comunicazioni, ha richiamato l’attenzione su disordini con lanci di pietre contro i militari nell’area. La versione dei fatti, tuttavia, resta contesa e riflette un andamento purtroppo consolidato in mesi di escalation nei territori occupati. Anche cronache internazionali hanno riportato il decesso, sottolineando la dinamica ancora in accertamento e il clima di violenza diffusa che grava sui minori. Il dolore di una comunità diventa così misura tangibile del fallimento della politica.
Domande che ci vengono poste, risposte senza sconti
Quante salme risultano ancora trattenute e perché i numeri non coincidono? Le stime variano: fonti convergenti parlano di circa 19 resti ancora da consegnare, mentre altri resoconti alzano o abbassano la cifra in base alle identificazioni e ai riscontri forensi in corso. Hamas sostiene che parte dei corpi sia inaccessibile sotto macerie o in tunnel collassati; Israele pretende l’immediata restituzione integrale come condizione di tenuta della tregua. Incertezza e sfiducia alimentano lo scarto tra i conteggi pubblici.
Che cosa indica, in concreto, la ‘linea gialla’ nella Striscia di Gaza? È un tracciato operativo voluto da Israele per segnalare con paletti e cartelli l’area di ripiegamento delle Idf prevista nella prima fase della tregua. Serve a distinguere, sul terreno, zone sotto controllo militare e aree esterne a tale controllo, con regole d’ingaggio annunciate come rigorose. Il riferimento visivo evoca i “barili blu” della Blue Line tra Libano e Israele, pur in un quadro giuridico diverso.
Qual è oggi la posizione di Washington su Hamas e sul rispetto dell’accordo? Il presidente Donald Trump ha lanciato un avvertimento diretto a Hamas: stop alle uccisioni interne e piena esecuzione degli impegni, a partire dalla consegna dei resti e dal disarmo. Pur escludendo un impiego di truppe americane, la Casa Bianca lega la permanenza della tregua a gesti verificabili. Il mandato dell’inviato Steve Witkoff si muove in questa cornice, tra pressioni politiche e coordinamento operativo sul terreno.
Perché la vicenda di al-Rihiya pesa oltre il singolo fatto di cronaca? Perché incrocia tre dimensioni: l’uso della forza in aree densamente popolate, la tutela dei minori in contesti bellici e la credibilità delle indagini quando le versioni sono divergenti. La morte del piccolo Mohammad Bahjat Al-Hallaq riapre il tema della responsabilità sul campo e impone verifiche rapide e trasparenti, altrimenti la spirale dell’impunità diventa parte integrante del conflitto stesso.
Guardare avanti senza smarrire l’umano
Il ritorno delle salme non è un dettaglio amministrativo: è il diritto al lutto che misura il grado di civiltà di un processo di pace. Restituire i corpi significa restituire nome e luogo alla memoria, una premessa indispensabile per evitare che la tregua evapori nel cinismo dei numeri. A Gaza come in Israele, famiglie attendono di poter chiudere un cerchio di dolore. Non servono proclami: servono atti verificabili, tempi certi, un linguaggio di verità.
La “linea gialla” mostra come la geografia del conflitto venga ridisegnata con segni visibili. Ma nessun paletto sostituisce la politica. La credibilità di chi negozia si misura nel proteggere i civili e nel far valere gli accordi. Se il cessate il fuoco dovrà reggere, sarà perché ognuno — dalle cancellerie ai comandanti sul terreno — avrà scelto di evitare l’ennesima deriva. La storia chiede responsabilità: il resto è rumore di fondo.