Il polso delle PMI italiane racconta un arretramento che non è episodico ma strutturale, fatto di produttività ferma, innovazione digitale discontinua e accesso a risorse spesso incerto. In questo contesto torna centrale un cambio di metodo manageriale, capace di tenere insieme strategia, finanza e organizzazione, trasformando opportunità disperse in risultati misurabili e duraturi.

Uno scarto che pesa su produttività e futuro
La fotografia più nitida arriva dai numeri sulla rischiosità: l’Osservatorio CRIF rileva un tasso di default medio delle imprese salito al 2,53% a fine 2024, con attese in ulteriore crescita fino al 3,9% nel 2026 per le società di capitali. È un segnale che si somma a performance economiche modeste e riflette fragilità organizzative e finanziarie. Quando la rischiosità aumenta e la pianificazione resta tattica, gli investimenti vengono rinviati e l’innovazione si inceppa, acuendo il divario competitivo con l’Europa.
La traiettoria della crescita non aiuta: per il 2024 l’Italia si è attestata attorno allo 0,7%, mentre l’Eurozona ha chiuso a circa lo 0,7% e l’UE allo 0,9% su base annua, secondo stime diffuse da Eurostat e riprese da testate economiche. È un contesto che rende ancora più evidente la necessità di alzare l’asticella della produttività di sistema, in particolare nel segmento PMI, dove il disallineamento tra obiettivi e strumenti rimane frequente e costoso.
Un ritardo che nasce dall’organizzazione e dalla visione
Il tema non è soltanto la scarsità di fondi, ma la qualità della regia interna. Troppo spesso le piccole e medie imprese affrontano digitalizzazione, sostenibilità, finanza agevolata e sviluppo commerciale come capitoli separati, senza una bussola condivisa. La mancanza di un piano a medio-lungo termine rende intermittenti gli sforzi e fragile il controllo degli esiti: si inseguono bandi scollegati dalla strategia e tecnologie implementate senza metriche, esponendo le aziende a costi occulti e a risultati inferiori al potenziale, proprio mentre i concorrenti europei consolidano la loro capacità di execution.
Questo deficit di visione si manifesta anche nei processi di finanziamento: richieste impostate senza obiettivi chiari e senza KPI credibili rallentano le erogazioni; quando le risorse arrivano, l’assenza di una cabina di comando trasforma opportunità in spesa non strutturale. È qui che si misura la distanza fra un approccio per iniziative e una direzione capace di orchestrare competenze e strumenti in uno stesso spartito operativo, con responsabilità definite e monitoraggi frequenti.
PNRR, l’accelerazione che ancora non c’è
Il PNRR rappresenta la più grande leva pubblica disponibile, ma la velocità di spesa resta bassa: al 13 dicembre 2024 risultavano utilizzati circa 58,6 miliardi, pari a poco più del 30% del totale. A segnalarlo sono analisi diffuse da Openpolis e riprese da media nazionali, nonché il rapporto “Note e Studi” di Assonime, che invita a “mettere a terra” opere e investimenti con urgenza. L’eterogeneità tra missioni e territori completa un quadro in cui programmazione e rendicontazione frenano l’impatto sull’economia reale.
La conseguenza è un effetto moltiplicativo attenuato: una pipeline di progetti ampia ma con cantieri che avanzano a velocità disomogenea, spingendo più avanti nel tempo i benefici attesi su produttività e occupazione. In parallelo, gli impegni contrattuali sono cresciuti rispetto alle spese sostenute, segnale di un sistema che avanza, ma che sconta colli di bottiglia amministrativi e gestionali. L’equilibrio tra rapidità e qualità della spesa rimane la variabile critica da qui al 2026.
Il contesto macro: crescita fiacca, rischi in aumento
Le previsioni aggiornate segnalano una fase ancora prudente: tra fine 2024 e il 2025 diverse istituzioni hanno ricalibrato al ribasso le stime di crescita italiana e, più in generale, dell’Eurozona, alla luce di domanda debole e incertezze geopolitiche. Stime diffuse dalla Commissione europea e riprese dalla stampa indicano per l’Italia scenari compresi tra lo 0,7% e l’1% nell’arco 2024-2026, mentre per l’area euro il profilo resta moderato. Per le imprese significa navigare con margini più sottili e maggiore disciplina nella gestione finanziaria.
Nell’ultimo anno le valutazioni di Banca d’Italia e dell’Ufficio parlamentare di bilancio hanno segnalato il raffreddamento del ciclo, complice il rallentamento del commercio mondiale. Il quadro, rilanciato da agenzie internazionali, fotografa un’economia esposta a shock esterni e con spazi fiscali in progressiva normalizzazione. In questo scenario la capacità delle PMI di leggere tempestivamente i dati, anticipare i rischi e difendere il cash flow diventa la differenza tra resilienza e arretramento.
Opportunity Manager: una proposta operativa
Per superare l’impostazione a silos, alcune realtà propongono una figura trasversale: l’Opportunity Manager. Non è un semplice consulente, ma un regista della crescita che integra finanza agevolata, innovazione, sostenibilità, digitalizzazione e controllo di gestione in un percorso coerente. La figura è stata descritta in dettaglio su testate economiche nazionali e associata al lavoro di Nadia Maselli e Riccardo Falezza di Find Facility Net, che ne hanno delineato ruolo e responsabilità per le PMI italiane.
Alla base c’è un metodo OM che scandisce l’intervento in otto aree strategiche: finanza e controllo di gestione; processi produttivi; sostenibilità; digitalizzazione e IT; marketing e vendite; risorse umane; innovazione; direzione strategica. L’approccio parte da una diagnosi interna accurata, definisce obiettivi misurabili tramite KPI e accompagna l’implementazione con monitoraggi e correttivi in tempo reale. È un modo di lavorare che traduce la complessità in priorità operative, affiancando l’imprenditore nelle scelte quotidiane.
Come funziona il metodo OM nell’operatività quotidiana
La novità non sta nel produrre report, ma nel condividere percorso, rischi e risultati con l’azienda, mantenendo la regia su tempistiche, budget e obiettivi. Ogni leva – dal bando a una tecnologia, da un piano di sostenibilità a un intervento sui processi – viene ricondotta a un progetto unitario, con responsabilità chiare e indicatori verificabili. Nei contesti dove mancano strutture manageriali complete, questo ruolo consente di comporre le competenze disperse e rendere tracciabili le decisioni, limitando sprechi e incoerenze.
È un impianto pensato per il tessuto italiano, fatto per oltre il 90% da imprese con meno di dieci addetti: qui la capacità di orchestrare risorse esterne e interne, accanto a una clausola di massima trasparenza sugli esiti, crea un patto operativo fondato su misurabilità e responsabilità. In altri termini: meno iniziative isolate, più trasformazioni guidate da obiettivi. È così che la crescita smette di essere episodica e diventa programma, con una regia che tiene insieme visione e contabilità.
Domande rapide per orientare le scelte
Qual è il primo passo per recuperare competitività? Una diagnosi interna che misuri dove si disperde valore e dove si può generare margine, fissando KPI raggiungibili entro 3-6 mesi e allineando i progetti di investimento alla strategia, non ai bandi del momento.
Come si decide se un bando conviene davvero? Si parte dal conto economico: impatto su cash flow, tempi di incasso, cofinanziamento richiesto e rischio operativo. Solo se l’opportunità regge ai numeri entra nel piano.
Quali aree mettere subito a sistema? Controllo di gestione, processi e digitale. Senza queste, sostenibilità, marketing e innovazione restano voci scollegate che non cambiano il risultato finale.
Come ridurre la rischiosità creditizia? Con pianificazione finanziaria mensile, stress test sui flussi e governance degli impegni: si negoziano i tempi con fornitori e finanziatori prima che diventino emergenza.
Il nostro impegno: dai numeri alle scelte, senza scorciatoie
Raccontiamo le PMI italiane con l’urgenza di chi vede nell’organizzazione la cerniera tra ambizione e realtà. Non basta inseguire risorse: serve una regia che trasformi strumenti in risultati. I dati su default, crescita e PNRR sono un promemoria severo, ma anche un invito a cambiare rotta: pianificare, misurare, correggere. Questo è il terreno su cui ci mettiamo alla prova ogni giorno, con una sola bussola: rendere le decisioni più solide di qualunque alibi.