Tre vite spezzate, una comunità raccolta e un Paese intero fermo nel silenzio. Nella basilica di Santa Giustina, a Padova, l’ultimo saluto a Marco Piffari, Valerio Daprà e Davide Bernardello è diventato una preghiera condivisa e un impegno morale che supera la cronaca di questi giorni.

Una città raccolta nel silenzio
Le navate di Santa Giustina hanno accolto i feretri avvolti nel tricolore tra un applauso lungo, quasi a voler custodire l’eco delle sirene nella musica della fanfara dell’Arma. In prima fila, accanto ai familiari, le più alte cariche dello Stato: il presidente Sergio Mattarella, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, i presidenti di Senato e Camera Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana, con diversi ministri e autorità civili e militari. La cerimonia, preparata con misure di sicurezza straordinarie e maxi-schermi in Prato della Valle, ha visto una partecipazione composta e vastissima, come raccontato dalle cronache locali e nazionali che hanno seguito in diretta ogni passaggio della giornata, dalla camera ardente fino all’ingresso in chiesa.
La veglia collettiva è iniziata all’alba, quando la camera ardente è stata riaperta per consentire l’ultimo omaggio. Nel primo pomeriggio, le strade intorno alla basilica sono state interdette al traffico e l’accesso al tempio regolato con accrediti, mentre migliaia di cittadini si sono fermati all’esterno in un silenzio che diceva più di qualunque parola. Il dolore, già monumentale, ha assunto i contorni istituzionali del lutto nazionale, una scelta maturata nelle ore successive alla tragedia e ribadita con la presenza corale dello Stato.
Le parole dell’omelia e il senso del mistero
La liturgia è stata presieduta dall’arcivescovo Gian Franco Saba, Ordinario Militare per l’Italia, nominato in primavera. La sua omelia ha scandito il cuore del rito: “Evento umanamente incomprensibile”, ha detto, affidando Marco, Valerio e Davide “alle mani di Dio” e consegnandoli all’ultima dimora terrena. In quelle parole, pronunciate davanti a un Paese ferito, si è riflessa l’idea che nel buio della prova possa farsi strada una luce di speranza capace di reggere anche quando le spiegazioni non bastano.
Accanto a Saba hanno concelebrato il vescovo di Padova Claudio Cipolla, il vescovo di Verona Domenico Pompili e il capitolo abbaziale di Santa Giustina. Nelle loro preghiere, il cordoglio per i familiari e la vicinanza a tutti gli operatori rimasti feriti. Il richiamo alla fede non è suonato come rifugio, ma come invito a una responsabilità condivisa: non lasciare che il dolore si disperda, ma trasformarlo in un gesto concreto di prossimità, di memoria e di giustizia. Le cronache di giornata hanno ricostruito puntualmente la coralità del rito e la trama delle presenze ecclesiali.
Il tributo delle istituzioni e l’impegno della memoria
Nel momento civile della cerimonia, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha parlato con voce ferma del debito che la Repubblica conserva verso chi ha perso la vita “servendo lo Stato”. Parole che hanno toccato il nodo della memoria pubblica: i nomi dei giusti non si cancellano, restano scolpiti nella roccia della coscienza nazionale. È un lessico che chiede di non ridurre il dolore a rito, ma di farne vigilanza e protezione quotidiana per chi indossa l’uniforme e per chi vive accanto a loro. Le agenzie e i quotidiani hanno riportato la sostanza di quell’intervento, risuonata nell’abbazia come un patto tra istituzioni e cittadini.
Fuori dalla basilica, l’applauso ha accompagnato l’uscita dei feretri, mentre le note della fanfara restituivano dignità a un dolore che chiede misura e memoria. La scena, seguita passo passo, ha sintetizzato l’abbraccio di una comunità più ampia dei confini veneti. Dalla camera ardente ai cortei, il rispetto è rimasto la cifra di una partecipazione che non ha cercato clamore. Il racconto dei cronisti ha fissato quei gesti con sobrietà, ricordando che in queste ore la politica e la società civile hanno voluto esserci senza invadere.
Le vite dietro le uniformi
Non erano soltanto gradi e incarichi, ma uomini con storie, amicizie, affetti. Il luogotenente Marco Piffari, il brigadiere capo Valerio Daprà e il carabiniere scelto Davide Bernardello hanno condiviso una stessa idea di servizio, fino all’estremo. La loro età, le famiglie, i volti diventati familiari in questi giorni raccontano impegni diversi uniti dall’obiettivo di proteggere la comunità. I profili diffusi dagli organi d’informazione hanno aiutato a restituire particolari essenziali, indispensabili per dare carne e voce a tre nomi che da oggi appartengono alla memoria collettiva.
Nelle parole del padre di Davide, un grazie ai colleghi e un addio che è desiderio compiuto: essere carabiniere d’Italia era il suo sogno, il lavoro amato. È in quelle frasi semplici che si sente la misura di una vocazione: non retorica, ma scelta quotidiana. E dal grazie di una famiglia si risale al grazie di una città e di un Paese, che si stringono attorno alla stessa promessa: non lasciare soli i familiari, non smarrire l’esempio, non disperdere la traccia del loro passaggio.
Dalla cronaca all’inchiesta
La tragedia affonda le radici nell’esplosione del casolare di Castel d’Azzano, in provincia di Verona, tra il 13 e il 14 ottobre. Secondo quanto ricostruito nelle prime ore e poi approfondito dai media internazionali e nazionali, l’innesco sarebbe stato preparato in un contesto di sgombero e resistenza all’evacuazione, con tre fratelli fermati e ora sotto indagine per ipotesi gravissime. Le autorità hanno parlato di un’azione deliberata, mentre prosegue la conta dei feriti tra forze dell’ordine e soccorritori.
La dinamica, i tempi e le responsabilità sono oggetto delle attività della Procura. Il quadro delle presenze istituzionali al funerale — dal Quirinale al governo, fino ai vertici del Parlamento — ha ribadito l’unità delle istituzioni attorno all’Arma dei Carabinieri. Le cronache di queste ore, dalle dirette locali alle note delle principali agenzie, hanno ricomposto tassello dopo tassello gli eventi e gli sviluppi, mentre si attende che le indagini facciano piena luce sull’accaduto e sulle condizioni che lo hanno reso possibile.
Chiarezza su luoghi, ruoli e partecipazioni
Chi ha presieduto la cerimonia? La messa esequiale è stata presieduta dall’arcivescovo Gian Franco Saba, Ordinario Militare per l’Italia, con la concelebrazione dei vescovi di Padova e Verona e del capitolo abbaziale.
Dove si sono svolti i funerali? Nella basilica di Santa Giustina, a Padova, con migliaia di persone tra l’interno e l’area di Prato della Valle, allestita con maxi-schermi per consentire la partecipazione.
Chi era presente tra le istituzioni? Hanno partecipato, tra gli altri, il presidente Sergio Mattarella, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, i presidenti Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana, oltre a diversi ministri e autorità.
Qual è stato il messaggio centrale dell’omelia? Il dolore per un “evento umanamente incomprensibile” e l’affidamento delle tre vittime “alle mani di Dio”, con un invito a tenere viva la speranza anche nel buio.
Un patto di responsabilità che ci riguarda
La grandezza di una comunità si misura nel modo in cui custodisce i suoi nomi più esposti e vulnerabili. Oggi, nello spazio sacro di Santa Giustina, quel compito è diventato impegno pubblico: sostenere i familiari, accompagnare i feriti, riconoscere il lavoro silenzioso di chi veglia sulle nostre città. Questo lutto chiede verità, memoria e cura. È da qui che riparte la nostra coscienza civile: non per dimenticare più in fretta, ma per vivere con più attenzione, rispetto e coraggio le ore che verranno.