La fotografia scattata a Treviso scuote: tra lavoro, demografia e competenze, i numeri raccontano un Paese sospeso tra opportunità e rinunce. A StatisticAll 2025, Francesco Maria Chelli chiama per nome squilibri e potenzialità, indicando nel capitale umano — soprattutto femminile e giovanile — il punto decisivo per la tenuta sociale ed economica.

Un festival che mette al centro l’essere umano
Il contesto non è casuale: a Treviso, dal 16 al 19 ottobre, il Festival della Statistica e della Demografia ha scelto come filo conduttore “Il fattore umano. Lavoro, società, intelligenze artificiali: la rivoluzione dei dati”, con incontri, laboratori e format divulgativi pensati per un pubblico ampio. La cornice, accogliente e rigorosa, richiama istituzioni, studiosi e imprese a una lettura concreta dei dati, con lo sguardo rivolto alle conseguenze di lungo periodo su welfare, produttività e coesione sociale. L’organizzazione conferma le date e l’impianto tematico, sottolineando l’obiettivo di un confronto trasparente e accessibile.
Qui, proprio nella città veneta, la riflessione sui numeri diventa narrazione civile. L’attenzione all’innovazione digitale e alle trasformazioni del lavoro entra nel vivo con i format dedicati ai linguaggi di oggi: dalla divulgazione al racconto scenico, fino ai dialoghi con gli esperti. Il Festival ribadisce il ruolo del dato come strumento di cittadinanza, non come alibi: i grafici servono a prendere decisioni, non a posticiparle. Questa è la cornice in cui la voce di Chelli ha trovato ascolto e, soprattutto, domande urgenti.
Donne ai margini del lavoro: l’urgenza non più rinviabile
La constatazione più dura riguarda l’occupazione femminile: “quattro donne su dieci in Italia sono inattive; nel Mezzogiorno, la quota sale a sei su dieci”. È il barometro di squilibri sedimentati, che incrociano carenza di servizi, carichi di cura e qualità dei contratti. Le ultime analisi ufficiali confermano un quadro compatibile con questa lettura: la quota di donne inattive sul totale 15-64enni si attesta attorno al 40%, con un’ampia disponibilità potenziale al lavoro, ma frenata da ostacoli concreti come il costo della cura e lo scarso accesso ai servizi per l’infanzia, particolarmente nel Sud.
La pressione non è solo sociale: è demografica. Dai materiali dell’Istat emergono criticità che incidono sulla sostenibilità futura: fecondità ai minimi storici, squilibri territoriali e livelli di istruzione ancora distanti dalla media europea, con ricadute sulla partecipazione femminile e sulla qualità del lavoro. La strada indicata dai dati è chiara: più istruzione, servizi di conciliazione efficaci e una rete territoriale di supporto. Senza questo, le potenzialità restano inattive, con costi che pagheremo a lungo.
Giovani adulti e Neet: il nodo che frena il Paese
C’è poi l’allarme sui Neet tra i 25-39 anni: secondo le parole di Chelli, la quota ha raggiunto il 22,4% ed è in crescita dal 2019, fino a rappresentare “quasi uno su quattro”, un’anomalia nel confronto europeo. Il dato, riferito alla fascia dei giovani adulti, illumina un segmento spesso fuori dal radar, dove l’uscita prolungata dallo studio e dal lavoro rischia di diventare esclusione stabile. È qui che l’incrocio tra formazione, politiche attive e servizi di accompagnamento può cambiare la traiettoria.
Il quadro ufficiale per i 15-29enni racconta un altro movimento — in discesa significativa negli ultimi anni — ma non cancella l’emergenza dei 25-39, più esposta alla trappola della transizione incompiuta. La quota dei Neet giovani è scesa nel 2023 intorno al 16%, con tendenza al miglioramento anche nel confronto europeo, pur restando l’Italia nelle posizioni di coda. I due segmenti non si contraddicono: indicano una divergenza generazionale interna che richiede interventi mirati sui giovani adulti.
Un mercato del lavoro che invecchia e cambia gerarchie
Dal 2004 al 2024 l’occupazione è cresciuta di 1 milione e 631mila unità, ma con un profilo anagrafico stravolto: fortissimo aumento tra gli over 50 — quasi cinque milioni in più — e, in parallelo, un calo di oltre due milioni tra i 15-34enni e di poco meno di un milione nella fascia 35-49. È l’effetto di dinamiche demografiche, allungamento dei percorsi formativi, riforme pensionistiche e maggiore partecipazione delle coorti più istruite. Questo sbilanciamento incide sulla produttività potenziale e, soprattutto, sugli equilibri del welfare.
La tendenza, osserva la statistica ufficiale, non si esaurisce: mentre l’occupazione ha segnato nuovi massimi recenti, restano stabili o in lieve aumento i segnali di inattività in specifici mesi dell’anno e crescono le pressioni sull’asse sostenibilità/previdenza. La distribuzione per età si sposta verso le classi più mature, con riflessi sulla capacità di innovare, trasferire competenze e mantenere alti i tassi di partecipazione delle generazioni centrali. È un tema che non riguarda solo i numeri, ma la qualità del lavoro che vogliamo consolidare.
Istruzione, figli e carriere: dove si allargano le distanze
Nella lettura proposta a Treviso, Chelli richiama l’attenzione sul combinato disposto tra titolo di studio e figli minori per le donne tra 35 e 49 anni: non solo i bassi livelli di istruzione espongono a maggiore rischio di esclusione, ma anche tra le diplomate con carichi familiari si osservano ostacoli persistenti. In assenza di servizi di cura accessibili e continui, la conciliazione resta una promessa incompiuta. Eppure, mano a mano che sale il livello di istruzione, i divari si assottigliano: l’istruzione rimane la chiave d’accesso più solida al lavoro stabile.
Le letture congiunturali lo ribadiscono: l’occupazione mostra una dinamica di fondo positiva, ma i divari di genere e territoriali non si chiudono da soli. Nelle rilevazioni recenti, il tasso di attività femminile migliora in alcuni trimestri, ma l’inattività delle donne resta più alta e, in segmenti specifici, torna a crescere complice la combinazione di part-time involontario, carichi di cura e frizioni nei servizi. È qui che si misurano davvero efficacia delle politiche e qualità della crescita.
I numeri più recenti: segnali incoraggianti e nodi irrisolti
Nel 2024 l’Italia ha registrato un aumento di 352mila occupati, con il tasso di disoccupazione sceso al 6,5% e gli inattivi attestati attorno a 12,4 milioni. Nel 2025, tra mesi in cui l’inattività risale leggermente e trimestri in cui scende, il quadro generale conferma livelli occupazionali elevati, ma con una partecipazione ancora incompleta di giovani e donne. Questa oscillazione di breve periodo non cancella il trend, ma segnala la fragilità degli equilibri raggiunti.
Guardando al secondo trimestre 2025, il tasso di inattività si colloca intorno al 33%, mentre l’occupazione rimane su livelli storicamente alti. Il Mezzogiorno tocca il 50% nel tasso di occupazione 15-64, miglior risultato dall’inizio delle serie, pur restando distante dal Centro-Nord. È un segnale che va consolidato rendendo strutturali servizi e politiche attive, altrimenti la spinta rischia di esaurirsi proprio laddove servirebbe continuità.
Le domande che ci arrivano più spesso
Il 40% di donne inattive è un dato “fisso”? No: varia nel tempo e per territorio. Le analisi recenti confermano una quota attorno a questa soglia, con differenze marcate nel Mezzogiorno e una platea significativa di inattive “potenzialmente attivabili” se rimosse barriere di cura e convenienza.
Perché i Neet sembrano calare tra i 15-29 anni ma restare alti tra i 25-39? Si tratta di fasce diverse: i 15-29enni mostrano un calo sensibile, mentre i 25-39 risentono di carriere intermittenti e rientri difficili, specie dopo percorsi formativi lunghi o carichi familiari. Serve un disegno di politiche mirate sui giovani adulti.
L’aumento degli over 50 al lavoro è un vantaggio o un rischio? Entrambi: valorizza esperienza e continuità, ma sposta il baricentro della forza lavoro e apre sfide su produttività, formazione continua e sostenibilità del sistema previdenziale.
Il punto che non possiamo eludere
La fotografia che emerge da StatisticAll è nitida e chiama responsabilità. Senza un piano operativo su istruzione, conciliazione e politiche attive calibrate per donne e giovani adulti, la crescita rischia di restare aritmetica e non sociale. I numeri parlano chiaro: la quantità c’è, ma la qualità dell’inclusione è la prova che ancora ci attende. Dare corpo alle potenzialità già emerse — e che i dati ufficiali documentano con puntualità — è il compito che ci assumiamo, oggi, raccontando il Paese con la stessa cura con cui pretendiamo di cambiarlo.