La gestione della Bpco sta cambiando direzione grazie a terapie mirate all’infiammazione: risultati recenti mostrano che un approccio personalizzato riduce in modo concreto le riacutizzazioni, alleggerendo ricoveri e accessi in Pronto soccorso. In questa trasformazione rientra l’impiego di mepolizumab, anticorpo monoclonale sviluppato per indirizzare l’infiammazione di tipo T2 caratterizzata dagli eosinofili.

Personalizzare davvero: dal “paziente medio” al profilo biologico
Per anni la broncopneumopatia cronica ostruttiva è stata trattata come un’unica entità clinica, con scarse possibilità di cucire la terapia sul singolo. Oggi il baricentro si sposta sul profilo infiammatorio: riconoscere un’infiammazione di tipo T2, facilmente intercettabile con una semplice conta degli eosinofili nel sangue, consente di scegliere trattamenti capaci di incidere sul meccanismo che alimenta le riacutizzazioni. È un passaggio culturale e clinico che rende la presa in carico più onesta verso la biologia della malattia e più rispettosa delle differenze tra persone che condividono la stessa diagnosi, ma non la stessa storia clinica. Ogni dettaglio ematico, se correttamente interpretato, diventa un alleato.
Il riferimento concreto è mepolizumab, anticorpo che blocca IL‑5 e, con esso, la sopravvivenza e l’attività degli eosinofili. Il farmaco è stato studiato come add-on in pazienti con Bpco già in triplice terapia inalatoria, ma ancora gravati da riacutizzazioni frequenti. Secondo i dati discussi in ambito scientifico internazionale e sottolineati dallo pneumologo Alberto Papi dell’Università di Ferrara, l’identificazione dei pazienti con eosinofili elevati offre una chiave pratica per selezionare chi può ottenere benefici tangibili in termini di prevenzione degli episodi acuti e di riduzione degli accessi ospedalieri.
Meno riacutizzazioni, meno ricoveri: cosa dicono gli studi più recenti
I risultati dello studio MATINEE, presentati in sede congressuale e poi pubblicati sul New England Journal of Medicine, hanno documentato in una popolazione ampia e severa una riduzione del 21% del tasso annuale di riacutizzazioni moderate e gravi con mepolizumab aggiunto alla terapia inalatoria rispetto a placebo. Il segnale clinico si è esteso anche agli esiti più pesanti: le analisi hanno evidenziato una riduzione degli episodi con esito in Pronto soccorso e/o ricovero, con un delta che ha raggiunto il 35% come indicato nelle comunicazioni dell’azienda sviluppatrice e nella letteratura di commento. Questi dati sono stati riportati nelle note ufficiali di GSK e nella rassegna scientifica che ha accompagnato la pubblicazione dei risultati.
La casistica arruolata in MATINEE ha incluso pazienti con Bpco da moderata a molto severa, spesso già trattati con triplice terapia, e selezionati per un’evidenza di infiammazione T2 misurata con eosinofili ematici pari o superiori a 300 cellule/µL. Nelle analisi post‑hoc, è emerso un beneficio marcato anche in sottoinsiemi come quello con bronchite cronica, senza sacrificare la safety, rimasta allineata al profilo noto del farmaco. Le comunicazioni istituzionali di GSK, insieme ai contenuti divulgativi clinici e alla letteratura primaria, hanno consolidato la lettura di un risultato clinicamente significativo e coerente con l’obiettivo di interrompere la spirale delle riacutizzazioni, vero motore della progressione di malattia.
Dal congresso alla pratica: perché contare gli eosinofili cambia le scelte
Il nodo è semplice e concreto: nei pazienti con Bpco che, nonostante il massimo della terapia inalatoria, continuano a riacutizzarsi e presentano eosinofili elevati, l’aggiunta di mepolizumab ha mostrato di ridurre episodi moderati e severi. È proprio questo il segmento a cui guardano gli specialisti come Alberto Papi, che sottolineano come l’identificazione della firma infiammatoria sia ormai parte integrante della visita. Una provetta e pochi minuti possono indicare un percorso diverso, potenzialmente più stabile, con meno telefonate per peggioramenti improvvisi e meno notti in reparto.
La ricaduta va oltre il conteggio degli eventi: meno riacutizzazioni significa anche miglior controllo dei sintomi, minore usura funzionale del polmone e, in prospettiva, un impatto sulla mortalità correlata alle fasi acute. Lo ha ricordato la comunità scientifica internazionale in occasione delle ultime presentazioni ai grandi congressi respiratori, dai quali è arrivata una conferma sostanziale: intervenire sui driver infiammatori non è un tecnicismo, ma un modo per restituire ore di vita quotidiana non scandite dall’ansia del prossimo peggioramento.
Dalla vetrina scientifica all’autorizzazione: lo stato regolatorio e le tappe
Alla progressiva maturazione dell’evidenza ha fatto seguito l’iter regolatorio. Negli Stati Uniti, l’agenzia regolatoria ha approvato il 22 maggio 2025 l’uso di mepolizumab come terapia aggiuntiva per adulti con Bpco e fenotipo eosinofilico, dopo l’accettazione formale del dossier e la valutazione dei risultati di MATINEE insieme ai dati storici di METREX. La notizia è stata comunicata pubblicamente da GSK e ripresa dalle principali testate economico‑scientifiche internazionali, segnando un passaggio rilevante: per questa popolazione esiste ora un’opzione biologica a somministrazione mensile in aggiunta alla terapia inalatoria di fondo.
In Europa, la richiesta di estensione d’indicazione è stata accettata in revisione dall’EMA nel marzo 2025, con il percorso di valutazione in corso. Il disegno di MATINEE — randomizzato, in doppio cieco e di durata fino a due anni — ha fatto da architrave a questa fase, insieme alla chiarezza del target: pazienti con infiammazione di tipo T2 identificata da eosinofili elevati nonostante un regime inalatorio ottimizzato. La pubblicazione sul New England Journal of Medicine e le comunicazioni ufficiali dell’azienda hanno reso trasparente metodologia ed esiti, facilitando il confronto nella comunità respiratoria.
La voce clinica: quando la biologia guida la decisione terapeutica
Nelle valutazioni condivise da Alberto Papi, emerge un punto dirimente: ridurre le riacutizzazioni significa non solo evitare l’evento acuto, ma incidere sul decorso stesso della malattia, perché ogni episodio lascia un’impronta sulla funzione respiratoria. La possibilità di integrare un trattamento mirato agli eosinofili in pazienti già al massimo della terapia inalatoria rappresenta, per chi vive di continui saliscendi clinici, una prospettiva concreta di stabilità. Più respiro, più prevedibilità, meno paura del prossimo peggioramento: è questo il messaggio che arriva dagli ambulatori e dai reparti.
Accanto agli endpoint clinici, i pazienti raccontano una vita quotidiana meno ostaggio dell’imprevisto: riprendere attività semplici, affidarsi a una gestione domiciliare più efficace, programmare le giornate senza il timore costante di un accesso in Pronto soccorso. I dati riportati nelle comunicazioni scientifiche indicano una tendenza favorevole anche negli indicatori di qualità di vita, pur con misure aggregate che non sempre catturano il beneficio percepito. Questo divario tra numeri e vissuto, noto in molte aree della medicina respiratoria, non deve sorprendere: il respiro che manca di notte o durante una rampa di scale non entra tutto in un questionario.
Cosa ci aspetta: più opzioni e somministrazioni semestrali all’orizzonte
Guardando avanti, due prospettive meritano attenzione. La prima è l’ampliamento delle opzioni per chi non presenta infiammazione di tipo T2 ma continua a riacutizzarsi nonostante la triplice terapia: la ricerca è attiva e il confronto scientifico ai congressi internazionali, inclusi quelli della European Respiratory Society ad Amsterdam, sta evidenziando vie alternative per aggredire la molteplicità dei meccanismi della Bpco. La seconda riguarda la modalità di somministrazione. Nell’asma, mepolizumab ha già sperimentato formulazioni a lunga durata con somministrazioni diradate durante l’anno; la prospettiva di un impiego analogo nella Bpco sarebbe strategica per pazienti spesso anziani, in cui la continuità terapeutica è una condizione di efficacia tanto quanto la molecola stessa.
Tutto questo si inserisce in una strategia di medicina respiratoria che premia la semplicità operativa e la selettività biologica: un esame del sangue per misurare gli eosinofili, una indicazione mirata per chi continua a riacutizzarsi nonostante il meglio delle terapie inalatorie, una somministrazione mensile che non stravolge la routine. La cronaca regolatoria negli USA, il processo di valutazione in UE e la pubblicazione su rivista di massimo impatto hanno tracciato una linea di continuità tra scienza, pratica e politica del farmaco, dando sostanza all’idea che la personalizzazione non sia più un auspicio, ma una realtà che entra negli ambulatori.
Domande in primo piano
Chi può essere candidato a mepolizumab nella Bpco? Pazienti adulti con Bpco non controllata nonostante triplice terapia inalatoria e con evidenza di infiammazione di tipo T2, riconoscibile tramite conta degli eosinofili nel sangue.
Di quanto si riducono le riacutizzazioni? Negli studi clinici di riferimento è stata osservata una riduzione media del 21% delle riacutizzazioni moderate e gravi, con segnali favorevoli anche per eventi che richiedono Pronto soccorso o ricovero.
È già disponibile come indicazione approvata? Negli Stati Uniti l’approvazione come add-on per adulti con fenotipo eosinofilico è stata concessa nel maggio 2025; in Europa è in corso la revisione regolatoria.
Come si identifica l’infiammazione T2 in ambulatorio? Con un prelievo ematico che misura gli eosinofili; valori elevati orientano la selezione terapeutica nei candidati idonei.
La qualità di vita ne beneficia? Meno riacutizzazioni e minori accessi ospedalieri tendono a riflettersi su una quotidianità più stabile; il miglioramento percepito può superare ciò che catturano gli indici standardizzati.
Uno sguardo che parte dai pazienti e torna ai numeri
Alla fine contano i respiri risparmiati all’affanno, le scale percorse senza interruzioni, le notti senza allarmi. La combinazione tra valutazione biologica e terapie mirate sposta l’asse della Bpco da un destino scritto a una gestione che premia la precisione. Le testimonianze cliniche raccolte negli ospedali, insieme alle evidenze pubblicate e ai passaggi regolatori più recenti, raccontano lo stesso copione: dove l’infiammazione guida, l’intervento giusto può cambiare il corso. È qui che la cronaca sanitaria incontra la responsabilità editoriale: offrire un racconto rigoroso e umano, che aiuti a vedere nella scienza una possibilità concreta di vita migliore.