Nel giorno in cui il valico di Rafah è atteso alla riapertura e la missione Eubam si prepara a vigilare sui passaggi, arriva la conferma dell’identificazione dei resti di Inbar Hayman e Mohammad al‑Atrash, restituiti a Israele. Un intreccio di attese, diplomazia e dolore collettivo scandisce le ore decisive di oggi, giovedì 16 ottobre 2025.

Rafah riapre tra attese e cautele
Il passaggio di Rafah è annunciato in riapertura per consentire il movimento delle persone tra Gaza ed Egitto, ma le ultime comunicazioni ufficiali impongono cautela: l’agenzia militare israeliana COGAT parla di preparativi in corso con Il Cairo, senza fissare un orario definitivo, mentre fonti europee confermano il dispositivo di monitoraggio. È previsto che gli aiuti umanitari continuino a transitare da altri varchi, con Rafah dedicato soprattutto al passaggio delle persone e ai casi medici, secondo il perimetro definito negli accordi di tregua.
Il quadro operativo, frutto di un’intesa maturata nei giorni della tregua, chiama in causa la presenza di osservatori europei e il coordinamento tra autorità israeliane, palestinesi ed egiziane. L’obiettivo è mettere in sicurezza i flussi, evitando sovrapposizioni con le rotte logistiche già attive e riducendo i tempi di attesa delle categorie più vulnerabili. In questa fase, la gestione dei dettagli – corsie dedicate, priorità sanitarie, controlli multilivello – resta in evoluzione, ma i cardini sono stati tracciati perché la frontiera torni ad essere percorribile in modo ordinato.
Come funzionerà il presidio europeo al confine e il mandato Eubam
La European Union Border Assistance Mission (Eubam Rafah) è rientrata al valico il 31 gennaio 2025, su richiesta congiunta israeliana e palestinese e con l’assenso egiziano, per facilitare l’uscita dei pazienti in condizioni critiche e dei loro accompagnatori, in linea con l’Agreement on Movement and Access del 2005. La riattivazione ha riportato sul terreno una presenza civile di terza parte, incaricata di monitorare e supportare procedure e standard di controllo in un contesto segnato da due anni di guerra.
Il Consiglio Ue ha prorogato il mandato di Eubam fino al 30 giugno 2026, con margini per sviluppare progetti e rafforzare l’assistenza all’<strong’Amministrazione generale palestinese delle frontiere con sede a Gerico. La missione, guidata da Nataliya Apostolova, mantiene la prontezza a modulare l’impegno in funzione delle condizioni di sicurezza, affiancando addestramento e consulenza tecnica alle esigenze operative del valico.
L’Italia è parte del dispositivo europeo con personale dell’Arma dei Carabinieri inquadrato nella Forza di Gendarmeria Europea (Eurogendfor), insieme a colleghi della Guardia Civil e della Gendarmerie. La partecipazione, formalizzata a fine gennaio, prevede compiti di sicurezza a protezione del personale Eubam e contributi alla formazione dei funzionari destinati ai controlli di frontiera. Un tassello che Roma ha rimesso in moto in questi giorni, alla luce dei passi avanti sulla riapertura.
Resti identificati: i nomi
L’esercito israeliano ha informato le famiglie: i resti restituiti ieri sera sono quelli di Inbar Hayman e del sergente maggiore Mohammad al‑Atrash. Il riconoscimento è avvenuto presso l’<strong’Istituto nazionale di medicina legale di Tel Aviv, al termine delle procedure forensi. Un annuncio che chiude, almeno in parte, l’attesa per due storie simbolo della tragedia, mentre resta l’impegno a riportare in patria tutte le salme ancora mancanti.
Hayman, 27 anni, artista di graffiti di Haifa conosciuta come “Pink”, era stata uccisa durante l’attacco al festival Nova; il suo corpo era stato portato a Gaza. Il suo nome, inciso sui muri e nelle iniziative di artisti in Israele e all’estero, ha attraversato l’opinione pubblica come un grido di restituzione e dignità, fino al rimpatrio del feretro e alla certezza dell’identità.
Mohammad al‑Atrash, 39 anni, militare di origine beduina, era caduto in combattimento il 7 ottobre e anche la sua salma era stata trattenuta nella Striscia. Con il riconoscimento, l’esercito ha ribadito la volontà di riportare a casa tutti i caduti, ricordando che gli accordi con i mediatori prevedono la consegna di tutti i corpi degli ostaggi deceduti.
Scambi, tregua e la tensione che non passa
La consegna dei due corpi si inserisce nella cornice della tregua mediata in queste settimane e degli scambi concordati. Nei giorni scorsi Israele aveva accusato Hamas di aver restituito anche un corpo non appartenente a un ostaggio, episodio che ha ulteriormente teso la trattativa. Sullo sfondo, l’impegno dichiarato a ritrovare tutti i resti ancora dispersi, condizione che pesa anche sulla tempistica dei varchi e sul consolidamento dell’accordo.
Dai canali ufficiali statunitensi e israeliani filtra un messaggio univoco: se gli obblighi non saranno rispettati, il cessate il fuoco potrebbe incrinarsi. Per ora, però, i governi coinvolti spingono su corridoi umanitari, evacuazioni mediche e riapertura graduale dei passaggi di frontiera, con Rafah al centro di un dispositivo di sicurezza che resta condizionato dall’evoluzione sul terreno e dal comportamento delle parti.
Il piano italiano tra emergenza e ricostruzione
A Palazzo Chigi si è riunito il tavolo “Italy for Gaza” per definire le priorità: dal rafforzamento dei corridoi umanitari a un piano di ricostruzione progressivo, con focus su scuole, ospedali e servizi essenziali. Il mae ha annunciato l’avvio della più grande spedizione di aiuti alimentari italiani dall’inizio della crisi — 100 tonnellate — mentre il capitolo sanitario e formativo viene potenziato in parallelo.
La Protezione Civile ha ribadito la disponibilità a montare in pochi giorni un ospedale da campo e a predisporre moduli prefabbricati per ospitare famiglie, oltre a mettere in campo un team di esperti per pianificazione e progettazione nella fase di ricostruzione. Una strategia che punta a tenere insieme urgenze e prospettiva, evitando soluzioni estemporanee e mantenendo il coordinamento con partner internazionali.
Nel frattempo, l’Italia rivendica risultati concreti con l’iniziativa “Food for Gaza”: dalle 800 tonnellate di farina distribuite attraverso il PAM in luglio all’invio di camion speciali per la logistica interna. Sono tasselli di un mosaico che deve essere completato con corridoi stabili e rimozione degli ostacoli alla circolazione degli aiuti.
Scuola e università: una ricucitura paziente
Il capitolo istruzione avanza su binari concreti: attivazioni di corsi a distanza, spazi comuni connessi e strumenti digitali in fase di progettazione per garantire continuità agli studi, in attesa che le condizioni sul terreno consentano di riaprire ambienti formativi in sicurezza. Nelle ultime ore, analisi e retroscena della stampa nazionale hanno ricostruito le ipotesi sul tavolo, dalla didattica online fino a interventi infrastrutturali mirati nel medio periodo.
Una prova tangibile è l’arrivo in Italia, il 1° ottobre, di 39 tra studenti, ricercatori e visiting professor palestinesi partiti da Amman con voli dedicati, operazione accompagnata dai ministri competenti e sostenuta dal sistema universitario. La cifra complessiva delle borse assegnate è in crescita, con l’obiettivo — dichiarato pubblicamente — di portare in Italia entro l’anno fino a 140 tra studenti e docenti.
Parigi e i partner
La Francia ha messo sul tavolo una conferenza internazionale per la ricostruzione di Gaza insieme all’Egitto. L’annuncio, arrivato all’Assemblea Nazionale, spinge su due priorità immediate: far arrivare più aiuti umanitari e avviare i cantieri della ripartenza, coordinando il sostegno europeo e arabo in una cornice condivisa.
Parigi, con Londra e Washington, lavora inoltre a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza per un mandato Onu a una forza di stabilizzazione che possa operare a Gaza “molto presto”. In parallelo, fonti statunitensi confermano il planning per un dispositivo internazionale di sicurezza, con contributi non combattenti e il coinvolgimento di Paesi regionali.
Domande essenziali
Rafah apre davvero oggi e per chi? Le fonti concordano sull’imminenza dell’apertura ai movimenti delle persone, con priorità per pazienti e vulnerabili; tuttavia, Israele e l’Egitto non hanno fissato un orario definitivo. L’assistenza europea tramite Eubam è pronta, mentre gli aiuti materiali continueranno a passare soprattutto da altri valichi come Kerem Shalom. La riapertura resta quindi un processo, più che un singolo evento, scandito dai requisiti di sicurezza sul campo.
Chi garantisce che il passaggio sia sicuro? Il presidio europeo di Eubam offre una presenza di terza parte che monitora procedure e standard; la missione è stata riattivata su richiesta congiunta delle parti e con l’accordo dell’Egitto. Il mandato, prorogato fino a giugno 2026, consente di affiancare formazione e supporto tecnico all’amministrazione palestinese delle frontiere, con possibilità di espansione progettuale se le condizioni lo permetteranno.
Perché i due corpi identificati oggi sono così importanti per l’opinione pubblica? Perché chiudono una ferita aperta da due anni: Inbar Hayman, artista conosciuta come “Pink”, è divenuta un simbolo internazionale; Mohammad al‑Atrash rappresenta il tributo pagato dai militari beduini dell’IDF. Il riconoscimento non riguarda solo le famiglie: incide sulle trattative in corso, evidenziando quanto il ritorno di tutte le salme resti una condizione morale e politica della tregua.
Che ruolo concreto sta giocando l’Italia? Da un lato partecipa alla missione Eubam con i Carabinieri nella cornice Eurogendfor; dall’altro coordina aiuti e progetti: 100 tonnellate di derrate in partenza, un ospedale da campo e moduli abitativi pronti all’allestimento, e un programma strutturato — “Food for Gaza” — che ha già finanziato farina, mezzi logistici e corridoi umanitari per studenti e malati. Tutto sotto regia istituzionale e in raccordo con partner multilaterali.
La tregua regge? È fragile. Israele e Stati Uniti hanno legato il consolidamento del cessate il fuoco al pieno rispetto degli impegni, inclusa la restituzione di tutti i resti degli ostaggi. Episodi come la consegna di un corpo non riconducibile a un ostaggio hanno alimentato tensioni, ma i mediatori insistono su evacuazioni mediche, riaperture progressive e pianificazione di una forza internazionale di stabilizzazione per evitare ricadute belliche.
Oltre il valico: responsabilità e misura
Ogni centimetro riconquistato alla mobilità civile pesa come una svolta nella vita delle persone. Il ritorno di Rafah a una funzione ordinaria — anche se per ora ridotta e prudente — non è solo un fatto logistico: è un banco di prova per la credibilità degli accordi e per la tenuta di un ordine minimo condiviso. L’Europa, con il suo presidio civile, si gioca un capitale di fiducia raro in una regione esasperata da perdite e diffidenze.
Il nostro sguardo resta puntato sulle prossime ore: l’umanità di chi aspetta una terapia, una sepoltura, una cattedra o una casa temporanea chiede istituzioni all’altezza, trasparenti nelle scelte e rapide nell’esecuzione. È lì che si misura davvero la politica, nella capacità di tradurre impegni in passaggi concreti, senza spettacolarizzazioni. Se Rafah tornerà ad essere una soglia percorribile e sicura, sarà perché la responsabilità avrà vinto sull’inerzia.