Roma, 15 ottobre 2025: il Senato dà il via libera alla conversione del decreto che ridisegna l’esame conclusivo delle superiori, restituendogli il nome di “esame di Maturità”. Una tappa che imprime la direzione politica della riforma e apre la fase decisiva alla Camera, con tempi stretti e attese altissime da parte di scuole, famiglie e studenti.

Un passaggio parlamentare che cambia il baricentro
L’approvazione in prima lettura è arrivata per alzata di mano e certifica la volontà di accendere un nuovo significato all’esame finale: non solo verifica di conoscenze, ma misurazione della crescita complessiva dello studente, della sua autonomia e della responsabilità maturata nel percorso. Lo hanno rimarcato le dichiarazioni del ministro Giuseppe Valditara, che ha accompagnato il via libera con l’idea di un esame più esigente e più aderente alla realtà. In Aula, il provvedimento ha innanzitutto ripristinato la denominazione storica e ha consolidato l’impianto delle modifiche, ora all’esame dei deputati per l’ultimo miglio dell’iter.
Dietro questo voto c’è un impianto normativo già in vigore dal 10 settembre 2025, data di entrata in vigore del decreto-legge n. 127/2025. È la cornice che definisce scopi e criteri dell’esame, aggiornando il perimetro valoriale con un’esplicita funzione di orientamento post-diploma. La riforma riconosce il ruolo del percorso personale e delle esperienze coerenti con lo studio, e rinforza l’idea di valutazione come passaggio che racconta la persona, non solo l’allievo. Gli atti ufficiali fissano questa architettura e aprono la strada a ulteriori dettagli via decreti attuativi.
Colloquio, scritti, valutazione: la nuova grammatica dell’esame
Le due prove scritte restano immutate nella loro centralità, con la possibilità della terza per indirizzi specifici; il colloquio cambia pelle e si concentra su quattro discipline individuate ogni anno entro gennaio con decreto ministeriale. Viene fissata una regola semplice e impegnativa: l’esame è “validamente sostenuto” solo se lo studente svolge tutte le prove, inclusa l’orale. La scelta deliberata del silenzio non produce più esiti favorevoli: chi non partecipa all’orale non supera l’esame. Un equilibrio che spinge alla responsabilità e agli esiti autentici.
Nel colloquio entrano in modo strutturale educazione civica e formazione scuola-lavoro, nuovo nome dei percorsi già noti come PCTO. La commissione tiene conto anche del curriculum dello studente, che accompagnerà il diploma, per restituire una fotografia più completa del cammino formativo. Tra le novità valutative, la possibilità per la commissione di integrare fino a tre punti chi si colloca almeno a 97/100, riconoscendo percorsi di eccellenza. È inoltre previsto che l’elaborato critico sulla cittadinanza attiva e solidale sia discusso nelle verifiche di recupero delle carenze formative, rafforzando il legame tra responsabilità civica e crescita personale.
Commissioni e formazione: l’assetto che regge l’esame
Le commissioni saranno presiedute da un presidente esterno e composte da due commissari esterni e, per ciascuna delle due classi assegnate, da due commissari interni, secondo aree disciplinari definite con successivo decreto. È una struttura pensata per garantire equilibrio tra sguardo terzo e conoscenza dei percorsi, con un’organizzazione che punta alla coerenza tra indirizzi e discipline oggetto d’esame. La scelta intende valorizzare competenze e responsabilità, evitando automatismi e rinviando a sedi regolate la definizione puntuale degli abbinamenti.
Per i componenti delle commissioni è previsto un investimento ad hoc: dal 2026 vengono stanziate risorse aggiuntive dedicate alla formazione specifica, così da rendere più solida e uniforme l’applicazione dei criteri valutativi. Il disegno è chiaro: più preparazione dei commissari, maggiore affidabilità degli esiti. Allo stesso tempo, il quadro normativo definisce tempi e atti successivi per modulare aspetti organizzativi e garantire un avvio coordinato delle nuove regole, prima fra tutte l’individuazione delle quattro discipline dell’orale.
La filiera tecnologico-professionale 4+2 entra a regime
La riforma rafforza la filiera tecnologico-professionale: il cosiddetto 4+2 passa da sperimentazione a ordinamento, integrandosi stabilmente nel sistema nazionale. Il modello prevede il diploma in quattro anni negli istituti tecnici e professionali e la possibilità di un biennio di specializzazione negli ITS Academy. L’obiettivo dichiarato è anticipare l’ingresso qualificato nel lavoro senza rinunciare alla continuità degli studi, con candidabilità dei percorsi proposta dai dirigenti e convivenza con il tradizionale quinquennio. Questa direttrice è stata sottolineata nelle comunicazioni ufficiali del Ministero.
Intanto, i numeri fotografano una crescita rapida dell’adesione: per il nuovo anno scolastico gli istituti autorizzati a proporre il 4+2 passano da 180 a 396, mentre i percorsi salgono da 225 a 628. È un incremento che supera il +200% per le offerte attivate, con un’attenzione significativa nel Mezzogiorno. Sono dati della commissione ministeriale che ha valutato le candidature, utili a comprendere la scala del cambiamento già in atto nei territori.
Sicurezza, strumenti e sostegno: risorse per una scuola concreta
Il pacchetto approvato comprende nuovi fondi per la sicurezza degli edifici scolastici, confermando che la modernizzazione passa anche dai luoghi in cui si apprende. È un orizzonte che dialoga con gli investimenti PNRR e con interventi nazionali già decisi nei mesi scorsi, in un mosaico che prova a ridurre il ritardo infrastrutturale e ad assicurare condizioni dignitose e sicure per studenti e personale. Nella stessa logica rientrano anche risorse per attrezzature didattiche riconducibili ai progetti territoriali come Agenda Sud.
La riforma aggancia inoltre la questione strategica del sostegno: vengono prorogati e potenziati i percorsi di specializzazione per aumentare il numero di docenti formati, con una stagione di avvisi, corsi e scadenze che nel 2025 ha attivato canali straordinari per rispondere ai fabbisogni reali delle classi. È un fronte che ha visto decreti specifici e aggiornamenti operativi, con l’obiettivo dichiarato di garantire continuità e competenze nelle situazioni più delicate.
Tempi, applicazione e confronto sociale
Le nuove regole si applicano dalla sessione 2026, con un calendario che prevede la definizione a gennaio delle materie dell’orale e l’avvio degli adempimenti scolastici già nell’anno in corso. La denominazione “esame di Maturità” è legge dal 10 settembre, ma la piena operatività dei dettagli passerà dagli atti successivi e dalla conversione definitiva. I principali quotidiani specializzati hanno ricostruito il perimetro: scritti invariati, orale focalizzato, responsabilità personale al centro del giudizio. Un percorso da seguire con attenzione nelle prossime settimane.
Nel frattempo, il confronto con il mondo della scuola è in corso. In Commissione Istruzione del Senato le organizzazioni sindacali hanno portato osservazioni e proposte su conversione del decreto e ricadute organizzative, segnalando anche nodi su reclutamento e carichi amministrativi. È un passaggio fisiologico per calibrare norme generali sulla vita quotidiana degli istituti, e per misurare la tenuta del sistema mentre il provvedimento passa alla Camera.
Domande lampo, risposte chiare
L’orale diventa davvero obbligatorio? E cosa accade in caso di “scena muta”? Sì. Il decreto stabilisce che l’esame è validamente sostenuto solo se lo studente svolge tutte le prove, compreso il colloquio: rifiutare deliberatamente di partecipare impedisce il superamento dell’esame. È una scelta che vuole responsabilizzare, evitando scorciatoie e allineando la valutazione finale all’impegno complessivo dimostrato nel percorso. La regola è scritta nella normativa e sarà applicata dalla sessione 2026, con istruzioni operative che seguiranno i decreti attuativi.
Quante materie all’orale e chi le decide? Le discipline del colloquio sono quattro, selezionate ogni anno entro gennaio tramite decreto del Ministero. L’idea è di concentrare l’approfondimento su aree cardine dell’indirizzo di studi, verificando contenuti, metodi, capacità di argomentazione e collegamento tra saperi. Per gli istituti professionali restano in vigore specifiche disposizioni, in coerenza con la loro struttura curricolare. Le scuole riceveranno indicazioni puntuali una volta pubblicato il decreto annuale.
Che cos’è la “formazione scuola-lavoro” e cosa cambia rispetto ai PCTO? È la nuova denominazione dei percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, introdotta dal decreto e operativa dall’anno scolastico 2025/2026. Cambia il nome, ma l’impianto resta ancorato agli obiettivi formativi e alla coerenza con l’indirizzo. La riforma integra queste esperienze nella valutazione complessiva, anche nel colloquio, valorizzandone il peso orientativo e la connessione con l’educazione civica e con il curriculum dello studente allegato al diploma.
Come sono organizzate le commissioni d’esame? Ogni commissione, presieduta da un presidente esterno, comprende due commissari esterni e, per ciascuna delle due classi abbinate, due commissari interni. Le aree disciplinari verranno fissate da un decreto dedicato. È prevista formazione specifica per i commissari, finanziata da stanziamenti aggiuntivi dal 2026: un tassello pensato per uniformare criteri e garantire decisioni solide, trasparenti e comprensibili agli studenti e alle famiglie, in tutte le sedi d’esame.
Il nostro sguardo: una prova che chiede coraggio
Questa riforma chiede a tutti un passo avanti: agli studenti di mettersi in gioco senza sottrarsi, alla scuola di rendere la valutazione chiara e ragionevole, alle istituzioni di accompagnare il cambiamento con atti tempestivi e risorse adeguate. Il ritorno alla parola Maturità ha senso se diventa un impegno concreto, quotidiano, a misurare idee, responsabilità e scelte. È così che l’esame finale potrà parlare al Paese e farsi memoria viva di ciò che la scuola, quando funziona, sa costruire.
Non basta cambiare regole: serve nutrire il filo che lega i saperi alle persone. La sicurezza degli edifici, i percorsi 4+2 che si consolidano, la centralità dell’educazione civica e del curriculum dello studente sono tasselli di un progetto che può funzionare solo se restituisce dignità al merito e cura alle fragilità. La rotta è tracciata. Sta a tutti noi, comunità educante, farla diventare esperienza reale e condivisa.