La prossima legge di Bilancio mette al centro la vita quotidiana: buste paga, famiglie, imprese. Parliamo di un impianto nell’ordine dei 18 miliardi per il 2026, costruito per alleggerire il carico su ceto medio e lavoratori, sostenere famiglie e rafforzare la competitività delle imprese, con un equilibrio che punta a non peggiorare i saldi di finanza pubblica.

Il baricentro sul ceto medio
Il perno della manovra è il taglio dell’Irpef per i redditi medio‑bassi: la seconda aliquota scende dal 35% al 33%, confermando un indirizzo già tracciato e ora concentrato su chi sostiene gran parte del gettito. La misura, che vale circa 9 miliardi sul triennio, mantiene un profilo selettivo: i benefici per i redditi più elevati restano attenuati, a tutela della progressività. È una scelta che parla alle famiglie che vivono di stipendio, prova a rimettere ossigeno nei consumi e a difendere il potere d’acquisto eroso dall’inflazione, dentro coordinate di sostenibilità dei conti pubblici. Secondo la nota ufficiale del Mef e le anticipazioni veicolate in queste ore, è qui che si concentra la parte più visibile del pacchetto fiscale.
Accanto al taglio dell’Irpef, nel 2026 viene destinato un pacchetto di circa 2 miliardi agli interventi sul lavoro per sostenere gli adeguamenti salariali e premiare la produttività, con soluzioni fiscali che incidono sui rinnovi contrattuali e sui premi di risultato nel privato. Sul tavolo dell’esecutivo sono circolate anche ipotesi di ulteriore detassazione selettiva di straordinari, notturni e festivi, e un rafforzamento dei limiti agevolati per i premi: dossier aperti che il ministero competente ha messo in consultazione tecnica in queste settimane. La traiettoria è chiara: agganciare più strettamente salario e produttività, senza penalizzare i bilanci pubblici.
Famiglie, Isee e strumenti contro la povertà
Il capitolo famiglie concentra risorse e ripensamento delle regole. Nel triennio si mobilitano circa 3,5 miliardi, con il rifinanziamento della social card «Carta dedicata a te» e un aggiustamento dell’Isee che allarga la platea degli aventi diritto: la casa di abitazione viene esclusa dal calcolo e le scale di equivalenza vengono rafforzate per i nuclei con due o più figli. L’intervento, stimato in quasi 500 milioni l’anno, mira a colpire con maggiore precisione il bisogno reale, evitando che il patrimonio immobiliare “immobile” distorca l’accesso agli aiuti. Le linee illustrate dal Mef hanno accompagnato l’invio del Dpb a Bruxelles.
Sul fronte della natalità e dell’occupazione femminile, viene potenziato il bonus per le lavoratrici madri nel 2026, evoluzione della misura da 40 euro mensili prevista nel 2025 entro la soglia di 40.000 euro di reddito, con criteri legati al numero e all’età dei figli. L’obiettivo è duplice: sostenere i redditi familiari in una fase di inflazione persistente e rimuovere barriere all’accesso e alla permanenza nel lavoro. La cornice, esplicitata nel Documento programmatico di finanza pubblica, orienta strumenti già sperimentati verso una platea più ampia, senza disperdere efficienza allocativa.
Sanità, personale e liste d’attesa
La sanità resta un cantiere strategico. Ai rifinanziamenti già previsti con la scorsa legge di Bilancio — oltre 5 miliardi per il 2026, 5,7 miliardi per il 2027 e quasi 7 miliardi per il 2028 — si aggiungono 2,4 miliardi nel 2026 e 2,65 miliardi l’anno nel biennio successivo. Una parte delle risorse è orientata a assunzioni e miglioramenti dei trattamenti del personale sanitario, tassello indispensabile per aggredire le liste d’attesa. È una spinta che, nelle intenzioni del governo, deve tradurre i numeri in servizi, allineando gli standard effettivi alla domanda di cura post‑pandemica.
Resta, tuttavia, un confronto aperto sui fabbisogni. Osservatori indipendenti come la Fondazione Gimbe hanno richiamato l’attenzione sul rapporto tra spesa sanitaria e Pil e sul rischio che il differenziale tra costi attesi e finanziamento assegnato si traduca in pressioni sui bilanci regionali se non colmato stabilmente. È un monito che incrocia le preoccupazioni di operatori e territori: investire sulle persone, prima ancora che sulle strutture, è ciò che misura l’efficacia reale di ogni miliardo. Il dibattito parlamentare dovrà verificare l’adeguatezza degli stanziamenti al trend demografico e alla domanda di prevenzione.
Imprese e investimenti, tra superammortamento e Zes
Per le imprese si riaccende il superammortamento, con una dote stimata in 4 miliardi per favorire gli investimenti in beni materiali attraverso la maggiorazione del costo fiscalmente ammortizzabile. Si affiancano il credito d’imposta per le aziende nelle Zone economiche speciali (Zes) e, in misura più contenuta, nelle Zone logistiche semplificate (Zls), oltre al rifinanziamento dei contratti di sviluppo e della Nuova Sabatini. È un pacchetto pensato per accelerare produttività e transizione, con strumenti già noti alle Pmi e alle grandi filiere.
In parallelo, la manovra conferma al 2026 i bonus edilizi alle condizioni del 2025 — con detrazione al 50% per la prima casa e al 36% negli altri casi — e proroga fino al 31 dicembre 2026 la sterilizzazione di plastic tax e sugar tax. Per famiglie e aziende, significa prevedibilità e meno shock regolatori in un segmento ad alto impatto sui costi. La stabilità delle regole, qui, vale quanto il beneficio fiscale: programmare investimenti è più facile se il quadro non cambia ogni pochi mesi.
Pensioni e lavori gravosi: l’equilibrio cercato
Sul versante pensioni, per il biennio 2027‑2028 resta l’adeguamento graduale dei requisiti all’aspettativa di vita, ma con una clausola di tutela: per i lavori gravosi e usuranti l’incremento viene disinnescato. È una scelta che evita un appiattimento meccanico delle regole e riconosce l’impatto fisico di determinate mansioni. Nel complesso si tratta di interventi calibrati per non comprimere la sostenibilità del sistema, preservando la coerenza con gli impegni europei sul medio termine.
La partita previdenziale, per sua natura, chiede prudenza. Ogni intervento ha un’inerzia lunga e riverbera sui budget degli anni successivi. È comprensibile, quindi, l’impostazione che privilegia aggiustamenti mirati a platee ben definite — chi svolge lavori gravosi, ad esempio — rispetto a soluzioni generalizzate. Nella stessa logica si inseriscono le conferme dei canali di uscita anticipata già sperimentati negli ultimi cicli: strumenti che offrono flessibilità senza creare buchi permanenti. Anche qui, più che gli slogan, conteranno i numeri a consuntivo.
Coperture e saldi: da dove arrivano le risorse
Il lato coperture poggia su tre pilastri. Primo: la rimodulazione del Pnrr, che libera nel 2026 risorse nell’ordine dei 5 miliardi. Secondo: un contributo a carico di banche e assicurazioni che vale circa 4,4 miliardi nel 2026 e nel 2027, per poi scendere a 2,3 miliardi nel 2028, per un totale che supera gli 11 miliardi nel triennio. Terzo: la revisione della spesa dei ministeri, quantificata in circa 2,3 miliardi nel 2026, 2,5 miliardi nel 2027 e 3 miliardi nel 2028. È un mix che distribuisce l’onere tra riallocazioni e prelievi settoriali.
Quanto ai saldi, l’obiettivo indicato nel Documento programmatico di bilancio è di mantenere il deficit in discesa fino al 2,8% del Pil nel 2026, mentre il pacchetto espansivo medio per il triennio resta attorno ai 18 miliardi l’anno. L’architettura finanziaria punta a un impatto 2026 vicino alla neutralità sui conti, spostando la trazione più forte sugli anni successivi. È una traiettoria che dialoga con il nuovo quadro europeo, chiedendo coerenza tra riforme e spesa netta autorizzata.
Domande senza giri di parole
Chi beneficia davvero del taglio Irpef al 33%? La sforbiciata si concentra sul secondo scaglione e intercetta la fascia di reddito tipica del ceto medio, cioè lavoratori dipendenti e autonomi con redditi compresi tra le soglie oggi previste per il secondo gradino. La struttura resta progressiva e i vantaggi si assottigliano man mano che il reddito sale, così da non trasformare un intervento mirato in un regalo indiscriminato. È una scelta di posizionamento politico, ma soprattutto un’operazione tecnica pensata per redistribuire margini verso i bilanci familiari più esposti.
La riduzione dal 35% al 33% incide dove la pressione fiscale è più percepita: lo “scalino” centrale. L’effetto non rivoluziona le buste paga, ma aggiunge respiro ai conti domestici e, in aggregato, sostiene i consumi. Resta fondamentale che la misura sia accompagnata da politiche sul lavoro che premino produttività e rinnovi contrattuali: senza crescita dei salari “veri”, il taglio dell’aliquota rischia di essere una toppa e non una svolta.
Le tasse su plastica e bevande zuccherate sono davvero rinviate fino al 31 dicembre 2026? Sì, la sterilizzazione di plastic tax e sugar tax viene prolungata fino alla fine del 2026. La scelta punta a evitare scossoni a filiere e prezzi in una fase di margini compressi e incertezza nei costi energetici, rinviando l’impatto di imposte nate con finalità ambientali e di salute pubblica. Il rinvio concede tempo per calibrare meglio gli strumenti e valutarne gli effetti distributivi, evitando di scaricare oneri su famiglie e piccole imprese.
Per i consumatori significa non vedere trasferita in etichetta una tassa che oggi sarebbe difficile da assorbire. Per le aziende, specie le Pmi della trasformazione e del beverage, vuol dire poter pianificare investimenti e riconversioni senza l’urgenza di un’imposta imminente. Resta il nodo politico: come conciliare obiettivi ambientali e sanitari con la tutela del potere d’acquisto. Il Parlamento dovrà affrontarlo con dati alla mano, non con slogan.
La sanità guadagna terreno o resta indietro? I numeri della manovra aumentano le risorse nel 2026 e nel biennio successivo, sommando nuove doti a rifinanziamenti già programmati. E una quota è dichiaratamente destinata al personale, la leva più critica per ridurre le liste d’attesa. Eppure gli osservatori invitano alla cautela: se la spesa sanitaria resta ferma, in rapporto al Pil, su livelli sotto la media Ue, il rischio è che l’effetto sia assorbito dai costi e non arrivi ai servizi.
La risposta onesta è: dipende dall’attuazione. Se assunzioni e rinnovi contrattuali procedono, se l’aggiornamento dei Lea diventa realtà e se le Regioni possono programmare con fondi certi, i 2,4 miliardi del 2026 e i 2,65 degli anni dopo possono fare la differenza. Se invece restano sulla carta o coprono solo spese incomprimibili, l’aspettativa dei cittadini rischia di scontrarsi con l’inerzia del sistema.
Numeri che diventano scelte: l’orizzonte del 2026
La manovra prova a tenere insieme rigore e crescita inclusiva: meno tasse sul ceto medio, più attenzione a famiglie e sanità, incentivi agli investimenti, senza strappi sul deficit. In un Paese che ha bisogno di fiducia e stabilità, questa impostazione è un messaggio, prima ancora che un algoritmo contabile. Il punto, ora, è la qualità dell’esecuzione: regole chiare, tempi rapidi, monitoraggi trasparenti. È lì che si misura la credibilità di una legge di Bilancio.
Da giornalisti abituati a maneggiare numeri e storie, scegliamo di giudicare i provvedimenti su ciò che producono nelle vite reali: una visita in meno rimandata, uno stipendio che torna a crescere, un investimento che parte. La politica economica vale quando tocca queste cose. Nel 2026 avremo il termometro: se il ceto medio respira, se le famiglie reggono, se le imprese investono, allora questa manovra avrà fatto davvero il suo mestiere.