Una canzone che nasce da un abbraccio: “Parole Invisibili” della K’in 232 Band intreccia amicizia, arte e inclusione, nel solco della collaborazione con la Fondazione Devlata di Sarzana (SP) e con Bolli, cuore pulsante dello spettacolo “BLU – Io sono io”.

Un progetto nato dall’incontro
In “Parole Invisibili”, la sintonia tra la K’in 232 Band, la Fondazione Devlata di Sarzana (SP) e Bolli è il punto di partenza e la destinazione. L’iniziativa si accende attorno allo spettacolo “BLU – Io sono io” e traduce in musica un’idea limpida: un gesto d’amicizia che diventa impegno, una riflessione condivisa su arte, inclusione e la bellezza nuda delle emozioni umane. Nulla è decorativo o di maniera; ogni suono sembra costruito per accogliere, per ascoltare davvero, per restituire dignità a ciò che spesso resta ai margini. È un incontro di sguardi prima ancora che di linguaggi, capace di trasformare un legame personale in un atto culturale riconoscibile, dove la musica si fa condivisione e non mera esibizione. L’alleanza tra questi protagonisti disegna un perimetro aperto, in cui le differenze non vengono smussate, ma abitate con rispetto.
Il brano mette a fuoco quelle che gli autori chiamano parole invisibili: non slogan, ma fili sottili che sanno attraversare mondi che riconosciamo autentici, portando con sé un alone di mistero e una forza discreta che supera il linguaggio. È lì che si agitano emozioni comuni a tutti: vibrazioni intime, essenziali, lontane dai ritmi freneticamente imposti dagli “standard umani”, eppure capaci di tenere insieme persone e storie. Questo sguardo non chiede scorciatoie, pretende tempo, presenza, cura: è la promessa di relazioni più sincere e di comunità più attente, in cui i limiti diventano passaggi e il rumore di fondo si attenua fino a lasciare spazio a un silenzio pieno.
La forza di Bolli e la danza inclusiva
Al centro di questo viaggio c’è Bolli, giovane artista down che ha scelto una via radicale: mettere tra parentesi quel “90% rosso” di difficoltà e rilanciare con il “10% blu” di una capacità fuori dall’ordinario. Non è un espediente retorico, ma un gesto concreto che illumina la scena e sposta lo sguardo. Accanto a lui, i danzatori e coreografi Kevin Cachucho e Daniel Escolar Fuente lavorano su una danza inclusiva, libera, profondamente umana, capace di far emergere la verità dei corpi e delle emozioni senza addomesticarle. In questo dialogo, il movimento non è decorazione: è linguaggio primario, è respiro condiviso, è la prova che l’arte può essere una casa ospitale. Ogni gesto apre una porta, ogni passo ricompone un equilibrio che sembrava inaccessibile, restituendo allo spettatore la possibilità di riconoscersi nell’altro.
Lo stesso principio attraversa lo spettacolo “BLU – Io sono io” e riverbera nella canzone. Esistere, per loro, significa disimparare la fretta: togliere velocità, reclamare lentezza, accettare l’imperfezione. Essere presenti e guardare, fino in fondo, senza pretendere di correggere ciò che è. È una postura etica prima ancora che estetica, che scardina l’ansia della prestazione e restituisce importanza al tempo dell’osservazione. In questo orizzonte, il blu non è un colore d’atmosfera, ma una possibilità: concentrarsi su ciò che c’è, riconoscerne il valore, scegliere di farne il perno su cui far girare la propria espressività. La canzone, in questo senso, è un invito: stare, vedere, lasciarsi toccare.
Il senso delle parole che non si vedono
Le parole invisibili di questa storia sono come frasi annotate tra le nuvole: non si dissolvono, non scivolano via. Volano alto, si tengono al riparo, oltre i confini, oltre il frastuono. È una geografia simbolica che non inganna: lì trovano spazio sentimenti universali, quelli che non hanno bisogno di spiegazioni, che resistono all’urgenza del giudizio e ai meccanismi più sbrigativi della quotidianità. Il brano li chiama per nome senza alzare la voce, accompagna chi ascolta in un tragitto intimo, dove il dettaglio è tutto e la semplicità non equivale mai a semplificazione. Così l’ascolto diventa un esercizio di fiducia, un modo per accorgersi che la profondità non è eloquenza, ma presenza.
Questo sguardo custodisce una chiave: aprire varchi a relazioni più vere e a comunità più empatiche. Non c’è didascalia, non c’è lezione, c’è una pratica. Il lessico scelto dalla K’in 232 Band evita le scorciatoie emotive e preferisce la misura, perché l’obiettivo non è impressionare ma condividere. L’inclusione, qui, non è un tema, è un modo di stare al mondo. E quando la musica si fa ponte, il passo successivo è naturale: l’altro non è più destinatario di un messaggio, ma compagno di viaggio, co-autore di un racconto che si scrive nello stesso momento in cui lo si vive.
La squadra e la cura del dettaglio
La fisionomia del brano porta la firma della K’in 232 Band e di chi ne anima ogni parte. Alla guida creativa c’è Massimo Parducci, autore, voce, arrangiatore e bassista. Alle chitarre troviamo Marco Del Sarto. Alla batteria, e al lavoro di arrangiamento, c’è Luca Bresciani. La registrazione e il mix sono stati realizzati presso il Louis Studio di Luca Bresciani. È un intreccio di responsabilità e sensibilità che tiene insieme le scelte musicali e l’intenzione narrativa del progetto, mantenendo saldo il legame con la materia emotiva che lo ha generato.
La dimensione visiva dialoga con la musica: i ballerini Bolli, Kevin Cachucho e Daniel Escolar Fuente traducono il brano in movimento, con una coreografia firmata da Kevin Cachucho. La regia delle immagini è affidata a Giulia Sacchetti, chiamata a restituire in video le stesse sfumature emotive che attraversano la composizione. Il viaggio continuerà sullo schermo: il videoclip del brano sarà disponibile su YouTube a partire dal 15 novembre 2025. Un tassello ulteriore, pensato per portare quell’abbraccio ancora più lontano, mantenendo viva la traccia di un’alleanza nata dal desiderio condiviso di raccontare la realtà senza filtri superflui.