Ivan Leonardo Velardi, autore siciliano con esperienza nell’assistenza agli anziani, presenta un’opera che intreccia memorie personali e ricerca spirituale. Il libro propone un invito a riconoscere una dimensione interiore, offrendo al lettore strumenti di comprensione e di ascolto di sé nel confronto con il dolore, la speranza e la ricostruzione di senso.

Origini del progetto e profilo dell’autore
L’esordio letterario di Velardi, intitolato “L’essenza Divina che vive dentro noi”, nasce da una stagione esistenziale segnata da una malattia affrontata con coraggio e da un lungo periodo di riflessione interiore. Nel volume affiorano anni di lavoro accanto agli anziani, una postura umana vigile e partecipe, e il desiderio di tradurre in parole un cammino che ha attraversato esperienze di confine, perdite e successive rinascite, senza pretese dogmatiche e con una forte responsabilità testimoniale.
L’autore vive a Petralia Soprana, nel cuore della Sicilia, e coltiva da oltre vent’anni lo studio di tematiche legate alla spiritualità e alla presenza degli angeli. In questo contesto maturano l’ispirazione del libro e la sua architettura: pagine costruite con una scrittura volutamente sobria, attente al dettaglio concreto, orientate a coniugare esperienza personale e apertura alla trascendenza, sempre nel rispetto della libertà di coscienza del lettore e del bisogno di autenticità.
Una voce interiore: non dogma, ma relazione
Cuore dell’opera è la relazione con una voce interiore percepita come prossimità al divino. Velardi rifiuta qualsiasi esclusivismo: non esistono destinatari privilegiati, poiché la medesima sorgente è descritta come accessibile a tutti. La tesi centrale sostiene che ciascuno, per dimenticanza o distrazione, abbia smarrito un dono originario: la capacità di creare la propria realtà, di risintonizzarsi con ciò che, fin dalla nascita, abita l’intimo e lo orienta senza imporre.
La prospettiva proposta non è catechetica né normativa. Al contrario, valorizza l’ascolto, l’attenzione ai segni del quotidiano, la discrezione con cui il sacro si manifesta nelle pieghe dell’esperienza. L’autore invita a una disciplina dell’interiorità, sollecitando il lettore a riconoscere ciò che lo abita e a riattivare un contatto responsabile con la propria autenticità. È una ricerca del senso intesa come esercizio di lucidità, in cui il divino appare come relazione costante e non come formula.
L’episodio dell’infanzia e la trasformazione del legame
Tra i passaggi più intensi del libro emerge un ricordo d’infanzia: dopo la perdita del cugino, una notte l’autore racconta di essersi ritrovato al centro della stanza, avvolto da un bagliore bianco. Una figura umana gli avrebbe parlato in forma telepatica, affermando che il legame non si era dissolto, ma si era trasformato in qualcosa di più forte. Il racconto non cerca l’effetto, ma introduce il tema della continuità affettiva oltre la soglia dell’assenza.
Questo episodio non è presentato come prova, bensì come esperienza che orienta lo sguardo. Velardi lo utilizza per riflettere sulla memoria, sulla durata dei vincoli e sulla possibilità di riconoscere significati nuovi nel lutto. La narrazione diventa allora un atto di cura: suggerisce al lettore che l’attraversamento del dolore può aprire uno spazio ulteriore, dove la perdita non annulla ma rielabora, e in cui il legame assume forme differenti senza smarrire la sua sostanza.
Strumenti pratici: esercizi di ascolto e accoglienza
Il volume non si limita al memoir spirituale. Propone esercizi semplici, con l’obiettivo di far rallentare il ritmo, favorire l’ascolto di sé e accogliere emozioni e intuizioni. Ogni pagina è un invito a una postura vigile: coltivare presenza, lasciare che i pensieri sedimentino, concedersi un tempo per leggere ciò che accade dentro. La felicità è descritta come possibilità costante, non come traguardo remoto o astratto.
Queste pratiche vengono presentate come percorsi di avvicinamento a una verità personale, mai come ricette universali. Velardi dichiara di non offrire soluzioni assolute, ma un punto di partenza da cui ogni lettore può muovere per riconoscere la propria via. L’accento è sulla responsabilità individuale: l’anima desidera “rimembrare” la sua natura, e questo richiede esercizio, pazienza e una disponibilità a sostare nelle domande prima di pretendere risposte definitive.
Destinatari e promessa di senso
Il libro è indirizzato a chi ha vissuto la perdita, a chi cerca un orientamento, a chi intende guardarsi dentro con onestà. L’autore non promette percorsi agevoli, ma suggerisce che il cammino, se intrapreso con serietà, possa restituire equilibrio e pace. La ricerca spirituale è qui una pratica quotidiana: il divino, più che un concetto, si fa esperienza della prossimità con ciò che rende la vita abitabile anche nelle sue asperità.
Dentro questa cornice, Velardi unisce il rigore dell’osservazione a una scrittura sobria che privilegia il concreto, i passaggi verificabili dell’esperienza, le risonanze interiori. L’orizzonte è quello di una riscoperta del legame con sé e con ciò che trascende, senza scorciatoie e senza clamori. Ogni pagina incoraggia a sostare, a osservare con cura, a lasciar maturare dentro di sé una luce capace di orientare il passo successivo.