In Italia la paura che la malattia avanzi accompagna la quotidianità di molte donne con carcinoma mammario metastatico. L’urgenza che emerge è concreta: garantire sostegno psico-oncologico strutturato, continuità delle cure sul territorio e risposte rapide, anche a distanza, senza spezzare il filo di fiducia costruito con medici e infermieri.

Timori reali, risposte necessarie
Oltre sette pazienti su dieci con tumore al seno metastatico vivono con il timore che la malattia possa progredire, un’ansia che investe anche circa la metà dei caregiver e che incide sulla qualità di vita, sulle relazioni e sulla capacità di pianificare il quotidiano. La dimensione emozionale non è un dettaglio: il bisogno di un servizio di psico-oncologia presente e accessibile emerge come priorità, perché una comunicazione chiara, un ascolto competente e percorsi di supporto mirati aiutano a contenere l’angoscia, a riconoscere i segnali d’allarme e a gestire le ricadute pratiche del percorso terapeutico. Evidenze internazionali confermano che, nei contesti di malattia avanzata, livelli elevati di “fear of progression” raggiungono percentuali molto alte, rendendo imprescindibili screening rapidi e interventi specialistici.
Il dato clinico si inserisce in un quadro epidemiologico che richiede uniformità e lungimiranza. Nel 2024 le nuove diagnosi di tumore della mammella in Italia sono state stimate in 53.686, con una quota di 6-7% metastatica già all’esordio, pari a circa 3.500 casi. Numeri che spiegano perché il tema della qualità di vita, insieme all’equità di accesso alle cure, non possa essere considerato ancillare rispetto all’efficacia terapeutica. La stessa comunità oncologica sottolinea come la presenza di indicatori nazionali omogenei sia decisiva per misurare i bisogni e programmare risposte adeguate, evitando disparità tra territori e garantendo standard condivisi.
Dai focus group alla pratica quotidiana: cosa chiedono davvero le pazienti e i caregiver
Dai focus group promossi da Fondazione IncontraDonna nell’ambito di Officina #Metastabile emerge un messaggio netto: la relazione di fiducia costruita con i professionisti è percepita come insostituibile, ma le donne necessitano anche di risposte rapide alle domande di ogni giorno, spesso compresse nei tempi delle visite. Per questo, telemedicina e teleconsulto vengono riconosciuti come strumenti preziosi, capaci di alleggerire i centri oncologici e di mantenere un contatto continuo, senza sostituire l’incontro in presenza. Quando le informazioni sono tempestive e le decisioni condivise, l’incertezza si attenua e le famiglie si sentono meno sole nel tragitto tra un controllo e l’altro.
Non è solo una questione di tecnologia, ma di organizzazione. Le partecipanti ai gruppi di ascolto indicano come essenziale una continuità assistenziale territoriale che affianchi i centri di riferimento con servizi vicini a casa: dal supporto psicologico alle prestazioni diagnostiche eseguibili fuori dal reparto oncologico, fino alla somministrazione di alcune terapie in sedi più prossime al domicilio. È un invito a integrare davvero ospedale e territorio, smussando gli ostacoli logistici che pesano sulla vita di chi convive con una patologia complessa.
Un Pdta dedicato per non lasciare indietro nessuno
La richiesta che risuona con maggiore forza è la definizione e l’attuazione uniforme di un Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale specifico per il carcinoma mammario metastatico. Le indagini condotte in precedenza hanno evidenziato che i Pdta dedicati risultano attivi soltanto in una minoranza dei centri di senologia, segno di una frammentazione che si traduce in opportunità diverse a seconda del CAP di residenza. Rendere questi percorsi la regola, e non l’eccezione, significa cucire l’assistenza sui bisogni reali, con équipe multidisciplinari, presa in carico personalizzata e connessioni strutturate tra ospedale e servizi territoriali.
In questa direzione si muove la seconda edizione di Officina #Metastabile, presentata a Roma nella sede di Agenas, con la responsabilità scientifica di Andrea Botticelli e Lucia Del Mastro e il coordinamento di una rete di clinici e associazioni. L’iniziativa si colloca nella cornice della Giornata nazionale del tumore al seno metastatico del 13 ottobre, scandendo un’agenda che unisce dati, testimonianze e proposte operative per mettere “a sistema” ciò che già funziona e colmare ciò che manca.
Terapie che avanzano, qualità di vita al centro: come tenere insieme i due piani
Negli ultimi anni le opzioni terapeutiche hanno compiuto passi sostanziali, con farmaci innovativi capaci di prolungare la sopravvivenza libera da progressione e, in alcuni casi, di ridurre la malattia. Studi presentati nelle grandi assise internazionali, come ASCO ed ESMO, hanno mostrato risultati incoraggianti per le pazienti con espressione HER2-low o ultralow, offrendo nuove traiettorie di trattamento oltre la chemioterapia tradizionale quando appropriato. Ma ogni progresso clinico interroga l’organizzazione: più vita significa più bisogni, dalla gestione degli effetti collaterali al sostegno psicologico lungo tutto il percorso.
Il punto è non lasciare zone d’ombra. Quando il disagio emotivo viene sottovalutato o la risposta specialistica non è disponibile, la fatica quotidiana aumenta e la stessa aderenza alle cure ne risente. Indagini recenti indicano che la presenza strutturata dello psiconcologo nei centri non è affatto scontata e che molte persone vivrebbero con sollievo la possibilità di un supporto online regolato e qualificato, integrato nel Pdta. Portare questi servizi vicino alle case, senza costringere a viaggi estenuanti per ogni consulto, è una forma concreta di rispetto e di efficacia clinica.
Voci e responsabilità istituzionali
Dal piano delle intenzioni occorre passare a quello degli atti. La posizione espressa in sede Agenas richiama la responsabilità di garantire pari opportunità di accesso alle cure indipendentemente dal luogo in cui si vive, soprattutto in un ambito in rapida evoluzione terapeutica. Per la comunità oncologica, l’obiettivo è un decentramento dell’assistenza ben governato: alcune terapie e molte prestazioni diagnostiche possono essere erogate nel territorio, purché con standard certificati e in raccordo costante con le Breast Unit. È un cambio di passo che non ammette improvvisazioni, ma che può alleggerire il carico sui reparti e migliorare la vita delle persone.
Il mondo delle istituzioni parlamentari, da Lavinia Mennuni a Beatrice Lorenzin, pone l’accento su tre assi: prevenzione e diagnosi precoce, investimenti in nuovi farmaci e tecnologie, attuazione effettiva di Pdta e reti oncologiche coordinate a livello nazionale, insieme a diritti civili come il diritto all’oblio oncologico. Non è solo una scelta etica: portare la cura vicino ai cittadini, rafforzare la multidisciplinarietà e il sostegno psicologico significa migliorare gli esiti clinici e, al tempo stesso, utilizzare meglio le risorse pubbliche, riducendo ricoveri inutili e diseguaglianze regionali.
Tre minuti per orientarsi
Quante sono oggi le nuove diagnosi e perché servono indicatori nazionali? Nel 2024 le stime parlano di 53.686 nuove diagnosi di carcinoma mammario. Una quota tra il 6 e il 7% è metastatica all’esordio, circa 3.500 casi. Senza indicatori omogenei e aggiornati, è difficile misurare davvero quanti convivono con la malattia metastatica, dove si concentrano i bisogni e come distribuire le risorse. Dati chiari e condivisi sono il motore di politiche efficaci eque e verificabili nel tempo.
Quanto pesa il timore di progressione nella vita di tutti i giorni? È una presenza ingombrante: oltre sette su dieci riferiscono questo timore, che può trasformarsi in vera sofferenza psicologica se non intercettato. Riguarda la paura del dolore, della morte e di essere un peso per i propri cari. Uno screening rapido e l’accesso a interventi psico-oncologici efficaci fanno la differenza, aiutando a distinguere l’allarme fisiologico dalla sofferenza clinica che merita trattamenti dedicati.
Perché un Pdta dedicato al metastatico cambia le cose? Perché mette in fila, con regole chiare, ciò che oggi è spesso affidato alla buona volontà dei singoli: équipe multidisciplinari, continuità ospedale-territorio, standard per diagnosi e terapie, psico-oncologia integrata e teleconsulto dove serve. Oggi i Pdta specifici sono presenti solo in una minoranza di centri, e questo crea una geografia dell’assistenza a macchie. Un percorso dedicato riduce le disuguaglianze e accelera le risposte.
Quando ricorre la Giornata nazionale e che cosa ci ricorda? Si celebra il 13 ottobre e non è una semplice ricorrenza simbolica: richiama istituzioni, clinici, associazioni e cittadini a riconoscere i bisogni specifici di chi convive con la malattia avanzata. È l’occasione per misurare i progressi, correggere le distanze tra territori e ribadire che cura significa anche ascolto, prossimità e dignità in ogni fase del percorso.
Il nostro sguardo, vicino alle persone
Continuità, fiducia, dignità: sono le parole che tornano quando ascoltiamo pazienti e caregiver. L’innovazione terapeutica, da sola, non basta; ha bisogno di una trama organizzativa che non lasci fili penzolanti. Un Pdta dedicato, la psico-oncologia garantita e servizi territoriali realmente connessi ai centri di eccellenza non sono un orpello, ma il modo più serio di onorare la promessa della medicina moderna: curare meglio, vivere meglio, sentendosi accompagnati, non soltanto trattati.