Matteo Piantedosi ha definito i flussi migratori una sfida complessa che, se governata con serietà, può generare opportunità per lavoro e coesione sociale. L’intervento è arrivato a Roma, durante “Traiettorie” della Fondazione Maire, dove si è ragionato anche di competenze e transizione energetica.

Un contesto che chiede responsabilità e metodo
Nel cuore della Camera di Commercio di Roma, il ministro dell’Interno ha richiamato la posizione dell’Italia quale crocevia del Mediterraneo: sicurezza dei confini e contrasto ai traffici illeciti devono procedere insieme a strumenti di cooperazione e sviluppo capaci di ordinare i movimenti in modo legale e sostenibile. È il perno del suo messaggio: non solo controllo, ma un’architettura di governance che tenga insieme dignità delle persone e fabbisogni dell’economia. Le sue parole sono state rilanciate dalle agenzie nel corso dell’evento promosso dalla Fondazione Maire, dedicato anche a competenze e transizione energetica.
La cornice, oggi, è fatta di numeri che vanno letti con prudenza e completezza. Nel 2024 il Viminale sottolineava una flessione degli arrivi rispetto al 2023, segnalando anche una crescita dei rimpatri e il blocco di decine di migliaia di partenze da Tunisia e Libia. Questi elementi, ricordati pubblicamente dal ministro in diverse occasioni, delineano un approccio che combina operazioni di sicurezza, cooperazione sul campo e canali legali. Dati e dichiarazioni sono stati riportati da testate nazionali e dall’ANSA.
Canali regolari e formazione prima della partenza
Nel suo intervento, Piantedosi ha insistito su una linea chiara: servono canali di migrazione regolare solidi e, soprattutto, preparazione all’accoglienza. Non basta aprire le porte; occorre costruire integrazione reale, partendo dai Paesi di origine con percorsi di formazione e qualificazione professionale, così che i lavoratori arrivino già con le competenze richieste nei settori strategici, inclusi quelli che accompagnano la transizione ecologica. È un’impostazione che incrocia la visione discussa a “Traiettorie”, dove la valorizzazione delle capacità delle persone è stata indicata come leva per la crescita.
Questa prospettiva si intreccia con la programmazione pluriennale degli ingressi: il DPCM 27 settembre 2023 ha fissato quote per il triennio 2023-2025, con un totale di 452mila lavoratori ammessi tra stagionali, non stagionali e autonomi. Per il 2025 sono state distribuite quote specifiche, incluse riserve per lavoratrici, per Paesi con accordi di cooperazione e per comparti come l’assistenza familiare e socio-sanitaria. Una pianificazione che punta a rispondere ai fabbisogni reali del mercato del lavoro e a canalizzare in modo ordinato gli ingressi.
Cooperazione sul terreno: risultati e questioni aperte
Sul fronte della collaborazione con i Paesi di transito, il Viminale ha rimarcato gli esiti operativi ottenuti con Libia e Tunisia, tra prevenzione delle partenze e rimpatri volontari assistiti, con conseguenti riduzioni degli arrivi via mare in determinati periodi. Le stesse autorità italiane hanno più volte aggiornato su percentuali di calo e sui numeri delle partenze impedite, evidenziando una strategia che integra sicurezza, diplomazia e interventi sul campo. Questi elementi, diffusi in conferenze pubbliche e ripresi da media nazionali, compongono una fotografia in evoluzione.
Dentro questo perimetro rientrano i progetti legali attivati in Tunisia, citati dal ministro come pratica concreta per sottrarre spazio all’illegalità. Una statistica richiamata pubblicamente indica che circa il 60% degli immigrati coinvolti aveva in passato contemplato la migrazione irregolare, perfino lungo rotte marittime ad alto rischio. Lo scenario tunisino resta però complesso: ricerche sul campo, diffuse dalla stampa internazionale, descrivono condizioni difficili e scarsa fiducia nelle organizzazioni da parte di molte persone in situazione irregolare. È un contesto che impone prudenza e investimenti mirati sulla tutela.
Accordi e diritti: l’asse Italia-Albania sotto la lente
Nel mosaico europeo, un capitolo importante è l’accordo Italia–Albania, in vigore per cinque anni e rinnovabile, che prevede due centri sotto giurisdizione italiana fino a un massimo di tremila persone presenti contemporaneamente. Il testo disciplina tempi e procedure, dalla difesa legale all’eventuale rimpatrio, collocando fuori dai confini UE una parte delle attività amministrative. Nel 2024 il governo ha annunciato l’operatività delle strutture, aprendo una fase che richiede monitoraggio costante.
Quel protocollo ha acceso il dibattito in Europa e tra le organizzazioni per i diritti umani, che hanno sollevato questioni di compatibilità con norme internazionali e comunitarie. I rilievi riguardano soprattutto la tutela effettiva dei richiedenti, i criteri di vulnerabilità e l’accesso alle garanzie procedurali. È un confronto destinato a incidere sulle politiche future dell’Unione e sui modelli di cooperazione con Paesi terzi, come riportato da testate europee che seguono da vicino il dossier.
Competenze per la transizione: lavoro, dignità, crescita
La giornata promossa dalla Fondazione Maire ha messo al centro un punto spesso trascurato: i migranti possono essere una risorsa per la transizione energetica e l’economia circolare. La ricerca presentata a “Traiettorie – Flussi migratori, competenze e transizione energetica” indica percorsi di formazione linguistica e tecnica, mentorship e upskilling, fino alle prospettive dell’agrivoltaico e dei distretti industriali verdi. Non un effetto collaterale, dunque, ma una leva per obiettivi climatici e filiere emergenti, nella misura in cui l’inclusione diventa progetto industriale.
Su questo terreno, la programmazione delle quote e la definizione dei profili richiesti contano moltissimo. La ricognizione ufficiale sui fabbisogni individua priorità in settori come edilizia, logistica, turismo, meccanica, telecomunicazioni, pesca e assistenza familiare, con riserve specifiche e riparti territoriali. La logica è semplice: incrociare domanda e offerta in modo trasparente, sostenendo imprese e territori senza derogare ai diritti. La sintesi istituzionale, diffusa dai ministeri competenti e dai portali informativi pubblici, conferma l’orientamento.
Domande essenziali, risposte in un minuto
Che cosa ha rimarcato Piantedosi a Roma? Che i flussi vanno gestiti con rigore e prospettiva: tutela dei confini e contrasto alle reti criminali, insieme a cooperazione, sviluppo e canali legali. Il tutto per trasformare una pressione in opportunità per il sistema produttivo e per le comunità.
I numeri degli arrivi stanno cambiando? Nel 2024 sono stati evidenziati cali in più fasi e il blocco di molte partenze da Tunisia e Libia, con un incremento dei rimpatri. Questi dati sono stati comunicati pubblicamente e ripresi da fonti autorevoli.
Come funzionano i canali regolari nel 2025? Rientrano nella programmazione triennale 2023–2025: quote definite per lavoro stagionale e non stagionale, con riserve per alcuni Paesi, per lavoratrici e per comparti specifici. L’obiettivo è allineare gli ingressi ai fabbisogni reali.
Qual è il senso dei progetti in Tunisia? Promuovere vie legali e formazione per ridurre l’attrazione delle rotte irregolari. Una statistica citata dal ministro indica che circa il 60% dei partecipanti aveva in passato considerato la migrazione illegale.
Uno sguardo che pretende risultati, non slogan
Nel nostro lavoro giornalistico contano i fatti, la loro verificabilità e la loro tenuta nel tempo. L’intervento di Piantedosi ha un merito: mette al centro l’idea che sicurezza, legalità e integrazione non siano alternative, ma parti di un unico disegno. La credibilità di quel disegno però si misura sui tempi della vita reale: sburocratizzare le procedure, sostenere i percorsi formativi, rafforzare i servizi sul territorio. È qui che la politica deve dimostrare concretezza.
Raccontare i flussi significa entrare nelle pieghe delle scelte pubbliche e nelle attese di chi percorre queste rotte. Ci interessa la sostanza: capire se la programmazione delle quote, gli accordi internazionali e i progetti di inclusione produrranno lavoro di qualità, coesione e sicurezza. Continueremo a osservare, con scrupolo e senso critico, le ricadute di decisioni che toccano l’economia e la dignità delle persone, perché la discussione non resti appesa a slogan, ma trovi risposte nella quotidianità.