Ore sospese tra speranza e timore a Gaza e in Israele: la liberazione degli ostaggi trattenuti da Hamas entra nelle sue ore più delicate, mentre sullo sfondo si intrecciano diplomazia, promesse e ferite ancora aperte. La giornata di lunedì 13 ottobre 2025 si annuncia come una prova di verità per tutti.

Le ore decisive per la liberazione
Le Forze di difesa israeliane hanno mantenuto una prudenza quasi chirurgica sui dettagli, ma la finestra temporale è chiara: la riconsegna dei 20 ostaggi vivi è attesa in mattinata, con una prima fase prevista per le 8 locali e un’ulteriore tranche poco dopo. Il trasferimento dovrebbe avvenire in più punti della Striscia, sotto coordinamento della Croce Rossa, con consegna alle unità IDF già schierate all’interno di Gaza. Una sequenza pensata per ridurre al minimo i rischi e accelerare i ricongiungimenti.
Nello schema di giornata, emerso dalle ricostruzioni dei media israeliani, Hamas potrebbe dividere i rilasci in due ondate ravvicinate, senza alcuna cerimonia pubblica. I convogli della Croce Rossa prenderanno in carico gli ostaggi e li affideranno ai militari israeliani per l’uscita dalla Striscia e l’immediato trasferimento ai centri di accoglienza. Il margine d’incertezza resta, ma la catena logistica è stata approntata per sostenere tempi stretti e imprevisti operativi.
Dentro il protocollo di riconsegna: percorsi, controlli, famiglie
La macchina dell’accoglienza è già in moto: l’IDF ha predisposto tre complessi, tra cui la base di Re’im, per l’arrivo, i primi controlli clinici e i ricongiungimenti con i familiari. Medici, psicologi e ufficiali della salute mentale accompagneranno ogni fase, con indicazioni sanitarie aggiornate per garantire un’assistenza che guardi sia al corpo sia all’equilibrio emotivo. Una soglia di cura studiata per non aggiungere traumi al trauma, e per offrire ai parenti un luogo protetto dove riabbracciare i propri cari.
Le stesse procedure, in parallelo, regoleranno lo scambio dei prigionieri palestinesi, la cui liberazione avverrà in step coordinati. Il criterio è semplice nella sua complessità: prima la certezza che gli ostaggi siano in mani israeliane, poi il via libera ai pullman con i detenuti in uscita dagli istituti penitenziari. È una coreografia delicata, vincolata alla verifica di ogni passaggio e alla tutela di ogni vita coinvolta.
Trump: “La guerra è finita”
Dalla sponda americana è arrivato il messaggio più netto. In partenza su Air Force One verso Israele ed Egitto, il presidente Donald Trump ha scandito che “la guerra è finita” e che il cessate il fuoco reggerà. Il viaggio coincide con l’attuazione dell’intesa che prevede la liberazione degli ostaggi e lo scambio con detenuti palestinesi, tasselli di un quadro negoziale più ampio costruito con la mediazione di Washington, Il Cairo, Doha e altri attori regionali.
Il clima, però, resta di fragile equilibrio. Alle parole tranchant della Casa Bianca si affiancano richiami alla prudenza: le prossime ore misureranno la resilienza dell’intesa, tra verifiche sul terreno e la gestione delle sensibilità interne a entrambe le società. In questa cornice, il ruolo americano s’intreccia con le aspettative dell’opinione pubblica israeliana e palestinese, che chiede sicurezza, giustizia e un orizzonte credibile di normalità.
La voce di Netanyahu e il bivio che resta
Nel suo videomessaggio di ieri sera, il premier Benjamin Netanyahu ha parlato di un’“inizio di un nuovo cammino”, invitando a mettere da parte i dissensi almeno per questo passaggio e ricordando le promesse fatte alle famiglie degli ostaggi. Ha celebrato unità nazionale e risultati militari, ma ha ribadito che la lotta non è finita e che persistono “grandi sfide di sicurezza”. È un doppio registro: entusiasmo controllato e monito alla vigilanza.
Il lessico scelto è calibrato sulla sensibilità del momento: “un evening di lacrime e gioia”, l’attesa dei figli “che torneranno ai loro confini”, ma anche l’avvertimento che alcuni nemici potrebbero tentare di riorganizzarsi. L’obiettivo implicito è tenere insieme la festa dei ricongiungimenti e la coscienza che la sicurezza resta una variabile non negoziabile. Un equilibrio narrativo che prova a contenere sia trionfalismi che sfiducia.
Sharm el-Sheikh, diplomazia in assetto di marcia
Nel pomeriggio, a Sharm el-Sheikh, si apre un vertice co-presieduto da Trump e dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi per consolidare il cessate il fuoco e definire i passaggi successivi. Sono attesi leader e delegazioni da oltre venti Paesi, insieme ai vertici delle principali organizzazioni internazionali. L’agenda è pragmatica: governance di Gaza, sicurezza, aiuti umanitari e un metodo per velocizzare le misure sul campo.
Da Gerusalemme, intanto, è arrivata conferma che non ci saranno rappresentanti israeliani al tavolo egiziano, mentre la Palestinian Authority ha annunciato la partecipazione del presidente Mahmoud Abbas. È una geometria inedita, con gli attori indiretti a fare da cinghia di trasmissione e i protagonisti militari fuori scena. La sfida sarà trasformare una tregua in una architettura di stabilità che non imploda al primo scossone.
Cosa accade ai corpi delle vittime
Accanto ai rilasci, oggi dovrebbe avviarsi anche la restituzione delle salme degli ostaggi uccisi. Le stime circolate indicano un numero significativo di resti da consegnare in più giorni, con passaggio alle truppe in Gaza e una breve cerimonia militare prima del trasferimento ai centri di medicina legale. Un rito sobrio, affidato a un rabbino militare, che renda onore alle vittime e accompagni le famiglie nel percorso di riconoscimento e lutto.
Questo segmento è il più sensibile: secondo i mediatori, Hamas non avrebbe ancora localizzato tutti i corpi, e ciò potrebbe dilatare i tempi. Le autorità sanitarie israeliane hanno predisposto protocolli di identificazione stringenti e un supporto psicologico dedicato ai parenti. Restituire un nome e un volto significa chiudere un capitolo insopportabile, pur sapendo che il dolore non si archivia con un documento ufficiale.
Domande lampo per capire di più
Quante persone verranno liberate oggi e come avverrà la consegna? Le autorità israeliane attendono la liberazione di 20 ostaggi vivi in due tranche mattutine, con riconsegna in tre aree della Striscia. Il trasferimento avverrà senza cerimonie, dai team della Croce Rossa alle unità IDF già dispiegate, quindi verso le basi di ricezione per i primi controlli e il ricongiungimento con le famiglie, incluso il centro di Re’im.
Il cessate il fuoco reggerà davvero? Dal volo presidenziale, Donald Trump ha dichiarato che “la guerra è finita” e che la tregua terrà. Resta però un equilibrio complesso, che dipenderà dall’attuazione puntuale degli scambi, dalla gestione delle frange armate e dalla capacità di ancorare la tregua a un percorso politico credibile. Ogni ora che passa senza incidenti rafforza la tenuta dell’accordo, ma non elimina i rischi residui.
Chi siede al tavolo di Sharm el-Sheikh e perché è importante? Il vertice è co-presieduto da al-Sisi e Trump, con ampia rappresentanza internazionale e l’obiettivo di consolidare la tregua e disegnare i “day after” di Gaza: sicurezza, aiuti, governance. L’assenza di delegazioni israeliane e di Hamas impone canali indiretti, ma può agevolare convergenze operative tra Stati e organizzazioni in grado di finanziare e garantire i primi passi sul terreno.
Cosa significa per le famiglie la restituzione dei corpi? È un atto di verità e dignità: consente un saluto, un rito, un’elaborazione del lutto che finora è rimasta sospesa. La logistica, dalla presa in carico alla cerimonia militare fino all’identificazione forense, è stata pianificata per offrire rispetto e sostegno, ma i tempi possono allungarsi se non tutti i resti risultano localizzati o trasferibili in sicurezza nei giorni immediati.
Oltre la soglia del presente: ciò che impariamo da questa notte
La liberazione attesa oggi non è un punto d’arrivo, ma una soglia. Ci ricorda quanto contino i dettagli—una finestra oraria, una firma, un corridoio umanitario—quando le vite sono appese a poche decisioni. E ci interroga su come trasformare una tregua in un’abitudine, una catena di gesti coordinati in una grammatica di pace. È nella tenuta di questi gesti che si misura la serietà delle promesse.
Nel nostro mestiere, che vive di verifiche e responsabilità, scegliamo di guardare a queste ore con lucidità e compassione. La cronaca restituisce fatti; sta all’umanità che li abita trasformarli in senso. Se oggi i ricongiungimenti avverranno come previsto, la speranza avrà un appiglio in più. Ma la vera prova inizierà domani, quando alla gioia dovrà seguire la pazienza di un lavoro lungo, esigente e condiviso.