Il confronto fra Governo e Parlamento sul Dl Sicurezza approda in Consulta. L’ammissibilità del conflitto di attribuzioni sollevato dal deputato Riccardo Magi sarà esaminata in Camera di Consiglio il 20 ottobre 2025, dopo una conferenza stampa convocata a Montecitorio per oggi, lunedì 13 ottobre, alle 16.

La miccia del contenzioso istituzionale
Alla base del ricorso c’è la delibera del Consiglio dei ministri del 4 aprile 2025 che ha dato il via libera al decreto-legge n. 48 dell’11 aprile 2025, recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, tutela del personale in servizio, vittime dell’usura e ordinamento penitenziario”. Il provvedimento è entrato in vigore il 12 aprile ed è stato poi convertito, senza modifiche, nella legge 9 giugno 2025, n. 80. Questo passaggio, formalmente lineare, è diventato il terreno dello scontro: per il ricorrente, il Governo avrebbe compresso le prerogative parlamentari ricorrendo allo strumento d’urgenza in assenza dei presupposti.
Il cuore della contestazione non è il contenuto delle norme, ma il metodo con cui sono state varate. Secondo l’impostazione illustrata pubblicamente da Magi, il decreto avrebbe “trasferito” nell’immediato un impianto normativo già all’esame del Senato in seconda lettura, sovrapponendosi al percorso ordinario del disegno di legge sicurezza. La critica ricalca quanto emerso nel dibattito pubblico di fine aprile, quando l’esponente di +Europa annunciò il conflitto in conferenza stampa, richiamando l’assenza di una motivazione puntuale sulla necessità e urgenza.
Dal decreto al giudizio: cronologia e snodi chiave
La sequenza dei fatti è nitida. L’11 aprile 2025 il decreto viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale ed entra in vigore il giorno successivo; il 29 maggio 2025 la Camera approva in prima lettura il disegno di legge di conversione, seguita il 4 giugno dal Senato; il 9 giugno il testo diventa legge, senza che siano introdotte modifiche rispetto al decreto. Nel frattempo, si accende la contestazione politica e accademica sull’uso della decretazione d’urgenza. Ora, la Corte costituzionale valuterà l’ammissibilità del conflitto il 20 ottobre, mentre oggi è prevista la presentazione alla stampa alla Camera dei deputati.
Questo primo passaggio in Consulta è decisivo perché la Corte, presieduta da Giovanni Amoroso, in sede di ammissibilità verifica requisiti soggettivi e oggettivi del conflitto (chi può proporlo e su quale oggetto), senza entrare ancora nel merito delle norme. È la fisiologia dei conflitti tra poteri, così come spiegata dalla stessa Corte: quando un potere ritiene lese le proprie attribuzioni da un altro potere, può chiedere un giudizio che, se accolto, può anche annullare l’atto ritenuto lesivo.
Gli argomenti sollevati dal ricorrente
Il ricorso sostiene che il Governo abbia aggirato il procedimento legislativo ordinario facendo ricorso al decreto-legge in assenza dei requisiti dell’articolo 77 della Costituzione. La denuncia riguarda la lesione delle prerogative parlamentari e dei singoli deputati, chiamati a un esame accelerato e compresso. In questa prospettiva, la “straordinaria necessità e urgenza” sarebbe mancata ab origine, poiché il contenuto del decreto riprodurrebbe in larga parte un disegno di legge già in fase avanzata in Parlamento.
Tra i profili richiamati c’è anche il principio di riserva di legge in materia penale (articolo 25, secondo comma), evocato con riferimento a norme che incidono sul sistema penale e penitenziario: aggravanti, pene accessorie, misure di sicurezza. L’argomento, dal punto di vista del ricorrente, è che questioni di tale rilievo richiedano l’iter ordinario, con tempi e modalità del confronto parlamentare pieno, e non l’uso dell’urgenza. L’iniziativa, annunciata a fine aprile in conferenza stampa, chiede l’annullamento del decreto nella sua interezza o, in subordine, delle parti prive del requisito d’urgenza.
Un nodo antico: la decretazione d’urgenza e i suoi numeri
Il caso del Dl Sicurezza si inserisce in un solco profondo della nostra vita istituzionale: il ricorso ai decreti-legge come veicolo primario della produzione normativa. I dati aggiornati al 13 settembre 2025 mostrano una legislatura in cui, su 242 leggi approvate, ben 84 sono leggi di conversione di decreti-legge, e i decreti adottati sono stati 108. È uno scenario che alimenta, da anni, un confronto serrato tra esigenze di tempestività dell’Esecutivo e pienezza del dibattito parlamentare.
Dentro questo contesto, un dossier della Camera dei deputati ricostruisce l’intreccio fra il disegno di legge sicurezza e il Dl 48/2025: l’Assemblea di Palazzo Madama aveva in calendario l’esame del ddl quando il Governo ha varato il decreto, poi convertito senza modifiche. Il dossier evidenzia che il decreto riproduce sostanzialmente i contenuti del disegno di legge, con differenze limitate a 12 articoli su 39. È un dettaglio che pesa nel dibattito sui presupposti d’urgenza e sull’equilibrio tra poteri.
Cosa può decidere la Corte in questa fase
In Camera di Consiglio la Consulta non giudicherà subito la legittimità del decreto, ma se il conflitto di attribuzioni sia ammissibile. Se la risposta sarà positiva, il giudizio proseguirà nel merito: qui la Corte potrà affermare a chi spettava l’attribuzione contestata e, se necessario, annullare la delibera del Cdm del 4 aprile 2025 e le parti del decreto ritenute prive dei requisiti d’urgenza. Questa dinamica è descritta nelle stesse pagine istituzionali della Corte.
Il punto sensibile, dal punto di vista giuridico, riguarda l’eventuale interazione con la legge di conversione, avvenuta il 9 giugno 2025. Il testo ufficiale conferma la conversione senza modifiche, ma il ricorso mantiene la sua traiettoria perché investe il procedimento con cui si è arrivati alla produzione normativa. Il perimetro della decisione, in ogni caso, resta nella separazione dei poteri disegnata dalla Costituzione e nell’arbitrato della Consulta.
Chiarimenti essenziali per leggere il caso
Che cos’è, in concreto, un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato e perché in questo caso ci riguarda da vicino? È lo strumento con cui un potere dello Stato denuncia la lesione delle proprie competenze da parte di un altro potere. Qui un parlamentare sostiene che l’uso del decreto-legge abbia inciso sulle prerogative delle Camere. La Corte costituzionale verifica prima l’ammissibilità, poi, se del caso, il merito, potendo anche annullare l’atto che ha originato la lesione. È un giudizio che tutela l’equilibrio istituzionale, non un’arena politica.
Perché il Dl 48/2025 è finito al centro di questo confronto, nonostante la conversione sia avvenuta senza modifiche? Perché la questione posta non entra nelle norme in sé, ma nel percorso che le ha generate. Secondo la ricostruzione resa pubblica a fine aprile, il decreto avrebbe ricalcato il disegno di legge in esame al Senato, riducendo gli spazi del procedimento ordinario. La conversione del 9 giugno non cancella il dubbio iniziale: c’era davvero la straordinaria necessità e urgenza? La risposta, ora, è nelle mani della Consulta.
Quali effetti concreti potrebbero derivare da una decisione favorevole al ricorrente nella fase successiva all’ammissibilità? In linea generale, quando accoglie un conflitto, la Consulta indica a chi spetta l’attribuzione contestata e può annullare l’atto che l’ha violata. Tradotto sul piano pratico, significherebbe incidere sulla delibera del Cdm del 4 aprile 2025 e, se ritenuto necessario, sulle parti del decreto prive di urgenza. È un esito possibile, definito dalla stessa funzione della Corte, ma sarà l’eventuale giudizio di merito a stabilirlo.
Una prova di maturità per le nostre istituzioni
Questa vicenda mette alla prova la tenuta dei pesi e contrappesi su cui si regge la nostra democrazia. La tensione fra decisione rapida e confronto parlamentare non è nuova, ma ogni volta chiama tutti a un supplemento di responsabilità: governo, opposizioni, opinione pubblica. Le tappe ufficiali — dalla pubblicazione in Gazzetta alla conversione, fino alla Camera di Consiglio del 20 ottobre — sono lì a ricordarci che la legalità del metodo è parte sostanziale della legalità del risultato.
Nelle aule dove si definiscono le regole comuni, ciò che conta non è solo ciò che si decide, ma come lo si decide. È lo sguardo che guida il nostro lavoro quotidiano: raccontare con rigore, mettere in fila i fatti, dare voce ai dubbi legittimi e alle ragioni contrapposte. In momenti come questo, la precisione delle scelte diventa anche cura del patto democratico. Ed è lì che, come giornalisti, sentiamo il dovere di restare vigili e limpidi.