Ore che pesano come anni: nelle prossime 24 ore si gioca il momento più atteso dalla notte del 7 ottobre 2023. Israele conta di riabbracciare 20 ostaggi vivi e di riavere le salme degli altri trattenuti a Gaza, con trasferimenti sotto tutela della Croce Rossa.

Ore decisive per gli ostaggi
Secondo la portavoce del governo israeliano Shosh Bedrosian, il rilascio dei 20 ostaggi vivi dovrebbe avvenire all’alba di lunedì, con consegna formale alla Croce Rossa e successivo trasferimento in territorio israeliano per accertamenti medici e ricongiungimenti. La scansione delle operazioni, concordata nei canali della tregua, ricalca le fasi già viste negli scambi precedenti, quando l’ente umanitario ha agito da intermediario neutrale per l’uscita da Gaza e per la contestuale liberazione di detenuti palestinesi. È previsto che le liberazioni israeliane di prigionieri avvengano dopo la conferma dell’ingresso oltre confine dei propri cittadini. Lo scenario viene descritto come fragile ma in regola con il calendario concordato nelle ultime 72 ore.
Poche ore prima, la vice ministra degli Esteri Sharren Haskel ha indicato in televisione che Hamas potrebbe anticipare l’avvio delle consegne “già stasera”, segno di una pressione diplomatica intensa esercitata dai mediatori, in particolare Qatar e Turchia. Dal quadro emerso negli ultimi giorni, l’aspettativa del governo resta quella di un trasferimento unitario dei 20 ostaggi vivi in mano al Comitato Internazionale della Croce Rossa, seguito dalla restituzione delle salme. A vigilare, forze israeliane pronte a intervenire per prevenire disordini come quelli denunciati in precedenti passaggi. La conferma sulla tempistica anticipata, tuttavia, resta subordinata a verifiche sul terreno.
Venti nomi, due anni di attesa
Dietro le cifre, ci sono volti e storie che il Paese conosce per nome. Tra i 20 ostaggi considerati in vita figurano il sottufficiale Matan Angrest, prelevato dal suo carro armato a Nahal Oz; i gemelli Gali e Ziv Berman, rapiti a Kfar Aza; Elkana Bohbot, produttore del Nova Festival; e Rom Braslavski, addetto alla sicurezza del rave che, secondo i testimoni, aiutò a far fuggire decine di ragazzi. Nella stessa lista compaiono il soldato Nimrod Cohen e i fratelli David e Ariel Cunio di Nir Oz, oltre a giovani come Evyatar David e Guy Gilboa Dalal, apparsi in video diffusi dai gruppi armati come segni di vita dettati sotto costrizione.
Altri nomi hanno attraversato mesi di attesa e appelli pubblici: il russo-israeliano Maxim Herkin, più volte mostrato in clip di propaganda; Bar Kuperstein, giovane medico militare fuori servizio quel giorno e legato alla comunità di Holon; Segev Kalfon, rapito lungo la Route 232; e Eitan Horn, della famiglia di origine argentina di Nir Oz, il cui fratello maggiore è rientrato a febbraio. Tra gli adulti, anche Omri Miran, sequestrato a Nahal Oz, comparso in un video in cui descriveva la durezza dei bombardamenti. Testimonianze, filmati e “prove di vita” hanno scandito un’attesa che per oltre due anni ha segnato piazze, case e istituzioni.
Diplomazia in corsa verso Sharm el-Sheikh
Domani, a Sharm el-Sheikh, è previsto il summit per suggellare l’intesa di cessate il fuoco raggiunta in Egitto: a presiederlo, il presidente egiziano Abdel Fattah al‑Sisi e il presidente statunitense Donald Trump. Parteciperanno oltre venti leader, tra cui il segretario generale ONU António Guterres e i capi di governo europei, con l’Unione rappresentata dal presidente del Consiglio europeo António Costa. L’obiettivo dichiarato è consolidare la tregua, definire l’orizzonte di sicurezza in Medio Oriente e spianare la strada alle fasi successive del piano in venti punti annunciato dalla Casa Bianca.
Non è prevista la presenza di Hamas alla cerimonia, mentre sulla partecipazione israeliana le indicazioni restano incerte. In parallelo, circola un elenco ampliato degli invitati – dall’Italia al Giappone, dall’India al Canada, fino a inviti inoltrati anche a Iran e ad altri attori regionali – a conferma di un formato volutamente multilaterale. Il vertice arriva dopo giorni di negoziati indiretti tra le parti, con un ruolo chiave di Egitto, Qatar e Turchia.
Il valico di Rafah e la ripartenza dei civili
Martedì è attesa la riapertura al traffico civile del valico di Rafah tra Gaza ed Egitto, con gestione sul lato palestinese affidata all’Autorità Nazionale Palestinese e monitoraggio della missione UE EUBAM Rafah. Le autorità europee hanno confermato che la missione, riattivata a inizio anno su richiesta di israeliani e palestinesi e con il consenso del Cairo, tornerà a presidiare i flussi secondo il modello già sperimentato nelle precedenti finestre di tregua. La ripartenza dei passaggi avverrà con priorità a feriti e malati, per poi estendersi in modo graduale.
Fonti di governo indicano che le liste delle persone autorizzate a entrare o uscire dalla Striscia dovranno ottenere approvazioni di sicurezza, un requisito che ha accompagnato tutte le riaperture parziali del valico. Da Roma arrivano segnali operativi: il ministro della Difesa ha annunciato la ripresa del contributo italiano alla missione europea e una riapertura in data 14 ottobre, compatibile con la scansione del cessate il fuoco. Il quadro si inserisce nella più ampia architettura umanitaria che prevede anche corridoi di aiuti da altri punti di ingresso.
La prossima fase militare e il “meccanismo internazionale”
Confermata da Israele anche la traiettoria del “dopo ostaggi”: il ministro della Difesa Israel Katz ha incaricato le IDF di prepararsi alla distruzione dei tunnel sotterranei di Hamas ancora attivi nella Striscia. L’operazione, ha spiegato, rientra nella demilitarizzazione prevista dagli accordi e sarà condotta direttamente dalle forze israeliane e attraverso un meccanismo internazionale posto sotto la supervisione degli Stati Uniti. Si tratta del passaggio più sensibile per stabilizzare la tregua, e sarà calibrato con i tempi del dossier ostaggi.
La scelta di puntare sulle gallerie, considerate la spina dorsale militare del gruppo, è letta come premessa per la sicurezza di lungo periodo e come capitolo chiave del piano statunitense. Ma non mancano le incognite: capacità residua dei miliziani, mappatura delle infrastrutture, rischi per i civili e compatibilità con il percorso politico che si vorrebbe definire a Sharm el‑Sheikh. Sullo sfondo, il tema del monitoraggio internazionale e della verifica indipendente del disarmo, che resta punto delicato del negoziato.
Il piano in 20 punti e le incognite
La cornice è quella di un piano in 20 punti: trasferimento dell’amministrazione di Gaza a un organismo tecnocratico palestinese sotto supervisione internazionale, tregua di lungo periodo e “spazio zero” per il riarmo. Secondo fonti diplomatiche e reportage internazionali, Hamas non prenderà parte al governo della Striscia nella fase di transizione, pur rivendicando un ruolo sociale nel corpo palestinese. Resta controverso il capitolo del disarmo totale, sul quale la leadership del movimento ha già tracciato linee rosse.
Al netto delle formulazioni, la tenuta del cessate il fuoco dipende da una sequenza puntuale: rilascio degli ostaggi e dei detenuti, accesso umanitario scalabile, ritorni ordinati dei civili e garanzie di sicurezza. In queste ore la tregua regge, mentre centinaia di camion carichi di aiuti riprendono il flusso e molte famiglie rientrano tra le macerie. L’asticella della prudenza resta alta: gli inviati americani, con Egitto, Qatar e Turchia, lavorano per blindare un equilibrio che, a oggi, è ancora reversibile.
Domande in un minuto
Quando iniziano i rilasci? Lunedì mattina presto, secondo le autorità israeliane; un anticipo “già stasera” è stato ventilato dalla vice ministra Sharren Haskel, ma resta da confermare sul terreno.
Chi prende in consegna gli ostaggi? La Croce Rossa internazionale, che nelle precedenti fasi ha gestito i trasferimenti da Gaza a Israele e quelli dei detenuti palestinesi in senso inverso.
Israele libererà prigionieri prima o dopo? Dopo la conferma del passaggio degli ostaggi oltre confine; il primo scaglione prevede alcune centinaia di detenuti, con migliaia di rilasci collegati alla tregua.
Rafah riapre davvero martedì? Sì, con gestione sul lato di Gaza all’ANP e monitoraggio della missione UE EUBAM Rafah, come annunciato da autorità europee e confermato da Roma.
Cosa succede ai tunnel di Hamas? Dopo il rientro degli ostaggi, il ministro Katz ha incaricato le IDF di prepararsi a demolire la rete rimanente, anche attraverso un meccanismo internazionale guidato dagli USA.
Un ultimo pensiero: dal dolore alla responsabilità
Se c’è un insegnamento che queste ore impongono è la misura della responsabilità. Ogni famiglia che si prepara ad abbracciare un figlio, un fratello, un padre, ci ricorda il prezzo di due anni di guerra. Restituire dignità ai vivi e ai morti è la prima forma di giustizia. Ma dignità significa anche pretendere rispetto delle regole negli scambi, protezione dei civili e verità su chi non tornerà. È su questo terreno che si costruisce fiducia.
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