Nel salotto televisivo di Domenica In, domenica 12 ottobre 2025, Evelina Sgarbi ha rimesso al centro la sua scelta più discussa: chiedere un amministratore di sostegno per il padre Vittorio. Ha parlato con voce ferma, spostando il fuoco sul tema che le sta più a cuore: la salute e la lucidità decisionale del genitore.

La decisione che divide e l’obiettivo dichiarato
Davanti alle telecamere di Rai 1, Evelina ha riformulato con chiarezza il senso del suo ricorso: non un attacco, ma una garanzia. Ha spiegato che la depressione può intaccare in profondità il modo di percepire la realtà e di scegliere, e che la sua istanza punta solo a verificare che il padre sia davvero in condizione di condurre la propria vita in modo giusto e sano. Le parole pronunciate nello studio di Mara Venier hanno seguito la scia di altre uscite televisive, nelle quali la giovane aveva ribadito di non voler “interdire” il padre, ma assicurarsi strumenti temporanei e proporzionati. Lo stesso tenore era emerso nei giorni precedenti in interviste andate in onda su Mediaset, dove aveva collegato la richiesta a uno stato di salute compromesso nei mesi scorsi.
La polemica pubblica non si è fatta attendere. In collegamento video, Vittorio Sgarbi ha respinto la narrativa della fragilità come realtà attuale, definendo sproporzionata l’iniziativa della figlia e sostenendo di non avere avuto ricadute dopo il ricovero. Una posizione già emersa sulle pagine dei quotidiani, dove il critico d’arte aveva bollato la mossa come ingiustificata e dolorosa. In studio, Venier ha invitato a tenere insieme sensibilità e prudenza: la sofferenza, ha osservato, rende più difficile difendersi. Tra parole trattenute e qualche emozione in superficie, la distanza affettiva è apparsa evidente, mentre il pubblico cercava un equilibrio tra pietas e diritto all’autodeterminazione.
La cronologia intima di un campanello d’allarme
Il racconto di Evelina ha una data d’inizio precisa nella sua memoria. Nell’agosto 2024, rivedendo il padre, avrebbe colto un abbraccio “diverso”, quasi una richiesta silenziosa di aiuto: poco appetito, un progressivo spegnersi. Sono passaggi che lei ripercorre come tasselli di un mosaico familiare diventato opaco, fino al ricovero al Policlinico Gemelli di Roma nei primi mesi del 2025. Anche lì—dice—la tensione è salita, tra incomprensioni con la compagna del padre e informazioni sanitarie che non le sarebbero state comunicate. Si tratta, sottolinea, del suo vissuto, maturato tra corsie d’ospedale e telefonate inevase. Questi snodi sono stati ripresi in resoconti di cronaca e agenzie che hanno rielaborato quanto emerso in trasmissione.
A complicare lo scenario, il nodo dei rapporti domestici. Secondo il racconto di Evelina, il telefono del padre non sarebbe più gestito direttamente da lui e, in una chiamata ricevuta a gennaio, le sarebbe stato detto che la permanenza in casa dipendeva da questioni economiche divenute pesanti. Parole riferite dalla giovane con l’urgenza di chi teme che il fragile equilibrio della vita quotidiana possa slittare. Anche qui, le ricostruzioni restano dichiarazioni riportate da lei in diretta e rilanciate da testate che hanno seguito passo passo la puntata, un materiale mediatico che ha contribuito a polarizzare i commenti.
Il perimetro legale: cosa prevede davvero la legge
Nel mare agitato delle opinioni, un punto fermo sta nelle norme. L’amministrazione di sostegno, introdotta in Italia con la Legge 9 gennaio 2004 n. 6, è pensata per offrire tutele “con la minore limitazione possibile” della capacità di agire, su misura e anche in via temporanea. È il giudice tutelare a nominare l’amministratore, definendone durata, poteri e limiti, dopo aver sentito la persona interessata e disposto, se necessario, gli accertamenti clinici. La misura non coincide con l’interdizione né con l’inabilitazione, ed è stata concepita per rispondere in modo flessibile a fragilità personali e periodi critici.
Gli atti in corso offrono già un calendario: a Roma, l’udienza civile legata al ricorso depositato da Evelina risulta fissata per la fine di ottobre 2025, passaggio destinato a chiarire sia i presupposti medici sia l’eventuale perimetro dell’incarico. È su quel tavolo che si incontreranno, con prove e pareri, le versioni in contrasto che hanno acceso il dibattito: da un lato la richiesta di protezione avanzata dalla figlia, dall’altro la rivendicazione del padre di piena autonomia. La cornice normativa, per sua natura, impone proporzionalità e verifica, oltre a una costante attenzione al benessere della persona.
Voci contrapposte, una ferita pubblica
La reazione di Vittorio Sgarbi non è rimasta confinata ai comunicati. In più sedi ha sostenuto di essere in ripresa dopo la fase più dura della depressione e di considerare eccessivo l’intervento giudiziario immaginato dalla figlia. In altre interviste ha parlato della compagna Sabrina Colle come di un approdo affettivo, un punto saldo nei mesi di ricovero e di silenzio, segnando una narrativa alternativa a quella proposta dalla giovane. Una trama di parole e smentite che riverbera nella sfera pubblica, spingendo ciascuno a scegliere il proprio punto d’osservazione, spesso senza tutti gli elementi clinici per giudicare.
Dal canto suo, Evelina respinge le accuse di interessi personali, ribadendo che se i medici e un giudice certificassero la piena lucidità del padre, non avrebbe motivo di insistere. La sequenza temporale che espone—malessere tra marzo e aprile, calo ponderale, insonnia—si intreccia con quanto documentato dai media sul ricovero al Gemelli, alimentando una percezione di fragilità che lei legge come campanello d’allarme e che altri, invece, ritengono superata. In questa asimmetria di sguardi, la televisione ha fatto da cassa di risonanza, con Mara Venier a richiamare una misura di umanità in un confronto già teso.
Televisione, famiglia, diritto: un equilibrio difficile
Nel nostro mestiere, quando una vicenda privata si consuma in diretta, la prima responsabilità è non tradire la complessità. A Domenica In la domanda implicita è rimbalzata per tutta la puntata: come si tutela una persona che ha attraversato una depressione, senza svuotarla della propria dignità e delle proprie scelte? La risposta non è nei titoli, ma nei dettagli: nella perizia clinica, nelle carte del tribunale, nell’ascolto delle relazioni familiari senza pregiudizi. La tv ha rivelato il dolore; il diritto dovrà tradurlo in una misura adeguata.
Resta il peso delle parole. Quando una figlia dice “mi hanno fatta fuori”, deposita pubblicamente un sentimento di esclusione. Quando un padre ribatte di stare meglio e di respingere l’ipotesi di un sostegno legale, afferma una identità che non vuole essere compressa. Tra queste sponde, il ruolo dell’informazione è separare il documento dall’interpretazione, ricordando che ogni affermazione va letta per ciò che è: da una parte una testimonianza, dall’altra una replica, entrambe destinate a essere vagliate nel perimetro delle regole.
Domande secche, risposte chiare
L’amministratore di sostegno limita la libertà personale? No: per legge è uno strumento flessibile, calibrato sul bisogno, con poteri definiti dal giudice e finalizzato a tutelare la persona con la minore limitazione possibile.
Esiste una data per il confronto in tribunale? Sì: a Roma risulta fissata un’udienza a fine ottobre 2025, passaggio chiave per acquisire valutazioni mediche e chiarire l’eventuale perimetro della misura.
La tv ha aggiunto elementi sostanziali al caso? La puntata del 12 ottobre 2025 ha offerto dichiarazioni incrociate in tempo reale: da Evelina, che ha motivato la richiesta, e da Vittorio, che ha rivendicato la ripresa. È un materiale utile, ma sarà il giudice a pesarlo accanto alle perizie.
Guardare oltre lo scontro: la cura che resta
Questa storia tocca corde comuni: la fragilità, il tempo sospeso della malattia, il bisogno di fiducia tra chi chiede aiuto e chi lo offre. La scena televisiva amplifica, ma non risolve. In controluce, noi vediamo una figlia che pretende certezze formali e un padre che difende la propria autodeterminazione. È qui che il diritto diventa strumento di pacificazione, se usato con rigore: accertare, definire, proteggere senza invadere. E restituire a ciascuno la parte di sé che teme di perdere.
Nel raccontarla, abbiamo scelto di far parlare i fatti: le cronache della puntata televisiva e le posizioni espresse dai diretti interessati, le ricostruzioni giornalistiche e il testo della legge. Non servono effetti speciali quando c’è di mezzo la vita vera. Servono attenzione, misura, e la consapevolezza che ogni parola pubblica può ferire o curare. Se c’è una destinazione possibile, è quella in cui la verità clinica, la legalità e gli affetti tornano a camminare nella stessa direzione.