Il cuore dell’Atlantico Nord invia nuovi segnali d’allarme: un ingranaggio cruciale del sistema di correnti potrebbe perdere stabilità, con ricadute sul nostro inverno. Un’indagine pubblicata su Science Advances riporta due fasi di turbolenza negli ultimi 150 anni e suggerisce che il prossimo capitolo del clima europeo si giocherà qui, tra Groenlandia e Islanda.

Europa, che cosa c’è davvero in gioco
Nel mosaico delle correnti atlantiche, il vortice subpolare del Nord Atlantico guida una porzione vitale del trasferimento di calore verso l’emisfero settentrionale. La nuova ricerca individua una perdita di stabilità in atto dalla metà del Novecento e invita a leggere il quadro oltre i titoli: non siamo davanti a un copione di catastrofe certa, ma a un sistema che scricchiola. Gli autori, richiamando la complessità delle interazioni con la AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation), evidenziano come un indebolimento del vortice possa alterare le traiettorie meteorologiche europee, intensificando gli estremi senza implicare automaticamente un collasso della circolazione più ampia.
Abbiamo esaminato con cura il lavoro del team dell’Università di Exeter, che parla di quadro “molto preoccupante” per l’accumularsi dei segnali. In un’intervista a Live Science, la ricercatrice Beatriz Arellano Nava sottolinea che un ulteriore indebolimento del vortice favorirebbe eventi estremi, in particolare in Europa, con possibili ripercussioni anche sui regimi di precipitazione a scala globale. È un’analisi che non prefigura la fine della AMOC, ma segnala una vulnerabilità crescente del ramo subpolare.
Le prove inaspettate custodite nelle conchiglie
Per ricostruire il passato, gli scienziati hanno scelto archivi naturali di sorprendente precisione: le conchiglie di Arctica islandica e Glycymeris glycymeris, veri “anelli di accrescimento” marini, capaci di registrare anno per anno cambiamenti di temperatura, salinità e circolazione. Incrociando isotopi di ossigeno e carbonio e ampiezze degli anelli, la serie ad alta risoluzione mostra due episodi chiave: una prima destabilizzazione in avvicinamento agli anni Venti del Novecento e una seconda, più marcata, iniziata intorno al 1950 e ancora in corso. Il messaggio è netto: il sistema ha perso parte della sua rapidità di ritorno alla normalità dopo le perturbazioni.
La solidità del metodo trova riscontro in altre ricostruzioni basate su conchiglie, come quelle realizzate nel settore sud-occidentale dell’Islanda, dove la specie longeva Arctica islandica ha permesso di calibrare le variazioni di temperatura a profondità intermedie e di agganciare i segnali locali alla dinamica del vortice subpolare. Queste serie, indipendenti e datate con accuratezza, confermano che gli archivi biogenici possono illuminare la memoria dell’oceano ben oltre l’era delle osservazioni strumentali.
Scenari: indebolimento del vortice e riflessi sul vecchio continente
Il quadro più coerente, alla luce dei dati, parla di un indebolimento del vortice subpolare capace di riorganizzare la distribuzione del calore e l’innesco delle tempeste, con ricadute potenzialmente severe per le stagioni europee. La letteratura citata dagli autori richiama un precedente storico: durante la transizione verso la Piccola Era Glaciale tra XIII e XIV secolo, il vortice avrebbe subito una brusca flessione senza trascinare con sé l’intera AMOC, contribuendo a inverni rigidissimi e a variazioni marcate delle precipitazioni. Pur in un contesto moderno diverso, questo parallelo invita a non sottovalutare gli impatti di un passo falso del vortice.
Allo stesso tempo, gli scenari più estremi — come un collasso della AMOC — restano oggetto di intenso dibattito. Un ampio studio coordinato dal Met Office e pubblicato su Nature nel 2025 indica che una cessazione totale entro la fine del secolo è improbabile, pur prevedendo un indebolimento sostanziale con impatti significativi per Europa e fascia tropicale. Altri lavori, come un’analisi su Science Advances del 2024, segnalano invece segnali fisici precoci compatibili con una traiettoria verso un punto critico. La scienza, qui, chiede prudenza e misure tempestive, non allarmismo.
Dibattito aperto e cautele interpretative
Nel confronto tra esperti, non mancano voci scettiche sull’interpretazione dei nuovi segnali. Il climatologo David Thornalley dell’University College London riconosce a Live Science l’utilità di serie così ben datate, ma osserva che l’analisi non collega in modo diretto i pattern nelle conchiglie a caratteristiche fisiche dell’oceano, né dimostra un salto di regime del vortice subpolare. È un richiamo metodologico importante: i proxy illuminano, ma l’oceanografia fisica deve consolidare il quadro con osservazioni e modelli dedicati.
Il passo successivo, spiegano i ricercatori di Exeter, consiste nel tradurre questi segnali in traiettorie climatiche concrete, integrando archivi naturali, misure in mare aperto e simulazioni. L’obiettivo è comprendere se l’attuale perdita di stabilità preluda a un ulteriore indebolimento del vortice e con quali conseguenze per tempeste, onde di freddo e distribuzione delle piogge. È un cantiere scientifico in accelerazione, sostenuto da evidenze convergenti e da un’urgenza che, a ogni stagione, entra nelle decisioni di pianificazione su agricoltura, energia e protezione civile.
Tra rischio e responsabilità: che cosa ci attende
Se la parola “collasso” non è la più adatta al presente, il termine “indebolimento” resta il segnale da prendere sul serio. La stessa Università di Exeter rimarca come lo scioglimento dei ghiacci polari contribuisca alla spinta verso punti critici, chiedendo una riduzione rapida delle emissioni per allontanare le soglie di instabilità nel Nord Atlantico. Per l’Europa, questo significa prepararsi a una maggiore variabilità: inverni talvolta più duri, alternati a fasi miti, e un ventaglio di estremi che ridisegna rischi idrogeologici e stress per le infrastrutture.
Nel frattempo, il confronto tra risultati modellistici e indicatori precoci prosegue: alcune simulazioni sostengono la resilienza della AMOC fino a fine secolo, altre ne leggono un’avanzata verso condizioni critiche. A unire i due filoni è la certezza dell’indebolimento, che da solo basta a spostare le traiettorie del clima europeo. È qui che la nostra valutazione trova un punto fermo: non serve attendere l’impossibile per agire sul probabile, aggiornando piani energetici, reti di protezione e strategie agricole al nuovo regime dell’oceano.
Domande lampo, risposte chiare
Il vortice subpolare sta davvero perdendo stabilità? Sì, le serie su conchiglie mostrano due fasi di destabilizzazione, una storica e una dagli anni ’50 a oggi, indicando un recupero più lento dopo le perturbazioni.
Questo implica un’imminente “era glaciale” in Europa? No. Il parallelo storico aiuta a capire i rischi, ma la ricerca non prevede un congelamento generalizzato; segnala però la possibilità di inverni più rigidi ed eventi estremi più frequenti.
L’AMOC rischia di crollare entro il 2100? Le migliori evidenze attuali indicano che un collasso totale entro il secolo è improbabile, pur con un indebolimento marcato che avrà conseguenze importanti.
Qual è la priorità ora? Ridurre rapidamente le emissioni e rafforzare monitoraggi e modelli, così da tradurre i segnali dell’oceano in scelte operative su energia, agricoltura e protezione del territorio.
Una riflessione che ci riguarda, qui e ora
Di fronte a un oceano che cambia, il nostro mestiere è distinguere la paura dall’attenzione. Le evidenze più solide ci dicono che il vortice subpolare si sta indebolendo e che l’Europa dovrà confrontarsi con un clima più nervoso. La scienza, raccontata da Science Advances, Live Science e confermata dalle note dell’Università di Exeter, chiede lucidità: non c’è bisogno di esagerare il pericolo per capire quanto sia urgente cambiare rotta. Questo è il punto su cui vogliamo essere giudicati.