L’arrivo delle correnti gelide dall’Est, secondo il virologo Fabrizio Pregliasco, potrebbe alimentare fino a 400mila nuovi casi di infezioni respiratorie in appena sette giorni.

Virus in corsa
Le proiezioni elaborate dal professor Fabrizio Pregliasco, responsabile della Scuola di specializzazione in Igiene e Medicina preventiva dell’Università Statale di Milano, indicano che l’ondata di patogeni respiratori collegata alla nuova irruzione di gelo può tradursi in 400mila contagi a settimana. Influenza, sindromi simil-influenzali e altre affezioni delle vie aeree alte corrono su binari paralleli, pronte a sfruttare l’improvviso aumento di permanenza in ambienti chiusi che accompagna il brusco calo termico. L’impatto numerico, già rilevante, nasce dalla combinazione di fattori climatici e comportamentali che si rinforzano a vicenda.
Pur trattandosi di una stima complessiva, l’entità dell’incremento non sarà omogenea lungo la penisola. Le zone dove le temperature precipiteranno con maggiore decisione, insieme a un’umidità elevata e a precipitazioni intense, faranno registrare balzi percentuali più marcati. Il Nord-Est, investito da temporali violenti, e le regioni adriatiche centrali figurano fra i territori più esposti; le aree interne appenniniche e le pianure padane, invece, risentiranno del freddo notturno che spinge le minime verso i 4°C, accentuando il rischio di contagio nei luoghi di aggregazione.
Come il gelo russo modifica le abitudini quotidiane e prepara il terreno ai contagi
La massa d’aria continentale che scende oltre gli Urali attraversa l’Europa centro-orientale e, in meno di quarantotto ore, si adagia sul Mediterraneo instaurando uno sbalzo termico di 10-12°C sotto la media stagionale. L’apparato respiratorio, colto di sorpresa, vede le mucose perdere parte della loro efficacia; in questo varco fisiologico i virus trovano il loro corridoio preferenziale, mentre le persone cercano riparo in uffici, scuole e mezzi pubblici spesso mal ventilati.
Il freddo intenso non crea nuovi patogeni, ma rimodella la socialità: porte e finestre si chiudono, i sistemi di riscaldamento asciugano l’aria, la distanza interpersonale si riduce. L’interazione quotidiana, già inevitabile, diventa un acceleratore di droplets e microaerosol infetti. Un singolo focolaio in una classe o in un open space può moltiplicarsi a catena in poche ore, alimentando l’impennata numerica che i modelli epidemiologici tentano di prevedere.
Chi sono gli agenti in gioco
Sebbene nell’immaginario collettivo l’influenza resti la star dell’inverno, i riscontri di laboratorio mostrano un panorama diverso: oggi adenovirus, rinovirus e altri agenti parainfluenzali rappresentano la fetta più ampia dei tamponi positivi. Questi «virus cugini» scatenano febbre, tosse e mal di gola con sintomatologia sovrapponibile a quella influenzale pur appartenendo a famiglie diverse. Il risultato è una sovrapposizione clinica che disorienta i pazienti e complica la diagnosi iniziale anche per i medici.
Accanto a loro si muove la presenza endemica di SARS-CoV-2. Il virus responsabile di Covid-19 sfrutta gli stessi ambienti chiusi, l’aria secca e la permanenza prolungata indoor. Pregliasco ricorda che ogni episodio di raffreddamento climatico equivale a uno stress per l’organismo; uno stress condiviso che favorisce la co-circolazione di agenti diversi o addirittura le doppie infezioni, scenario che aumenta la gravità clinica soprattutto fra anziani e soggetti con patologie croniche.
Dall’irruzione attuale ai possibili scenari di novembre: termometri, virus e resilienza immunitaria
Le mappe dei previsori indicano che la fase più acuta di questa colata artica dovrebbe esaurirsi entro pochi giorni, prima di lasciare spazio a condizioni più tipicamente autunnali. Ciò non esclude nuovi impulsi continentali verso novembre. La finestra favorevole ai virus, quindi, resterà aperta: anche se i termometri risaliranno temporaneamente, l’eco delle catene di contagio avviate ora potrebbe protrarsi, fungendo da trampolino per la futura ondata influenzale.
Altro tassello è la cosiddetta stanchezza immunitaria. Chi affronta in rapida successione un rinovirus o un’infezione parainfluenzale rischia di arrivare ai mesi più freddi con difese parzialmente provate. Pregliasco non esclude che ciò influisca sulla severità dei picchi influenzali tra dicembre e febbraio, quando l’influenza richiederà temperature stabilmente basse e un’umidità marcata per esplodere. Nel frattempo i laboratori monitorano l’evoluzione delle varianti, pronti a segnalare mutazioni degne di nota.
Domande frequenti
Quanto durerà l’ondata di freddo? Le ultime simulazioni parlano di circa sette giorni, periodo sufficiente però a innescare dinamiche epidemiche che potrebbero protrarsi per settimane. La ragione è semplice: i virus respiratori, una volta messi in circolo, non seguono la stessa curva dei termometri. Anche un rapido ritorno a valori più miti non spegne i focolai già attivi, ma li trascina verso la metà autunnale, dove troveranno altri spunti per riaffacciarsi.
I sintomi aiutano a distinguere? Solo in parte. Febbre alta e spossatezza prolungata fanno pensare all’influenza; febbre moderata, congestione rapida e risoluzione in tre o quattro giorni suggeriscono un rinovirus. Tuttavia la sovrapposizione clinica è ampia e il test di laboratorio resta l’unico arbitro affidabile. E il Covid? Prosegue la propria corsa parallela, pronto a intensificarsi sfruttando l’aumento di permanenza al chiuso. Le co-infezioni non sono la norma ma neppure rare e possono pesare sui pronto soccorso nel cuore dell’inverno.
Uno sguardo responsabile sulla stagione che ci attende: dati, non allarmismi
L’invito degli esperti converge su un punto: monitorare senza drammatizzare. I 400mila casi ipotizzati non devono mutarsi in titoli catastrofisti, ma fungere da bussola per pianificare risorse sanitarie, vaccinazioni e comunicazione alla popolazione. Informare con rigore equivale a tutelare la salute collettiva; per questo gli indicatori epidemiologici vanno aggiornati e riletti con spirito critico, evitando semplificazioni che alimentino paure infondate.
La traiettoria dell’autunno, con i suoi contrasti climatici e biologici, resta aperta a molte variabili. Il contributo di un giornalismo accurato è trasformare grafici in parole chiare, aiutare i cittadini a capire quando serve una protezione in più – una mascherina, un vaccino o semplici abitudini di ventilazione – e quando basta il buon senso. Conoscere in anticipo non significa vivere con paura; significa disporre degli strumenti per muoversi con consapevolezza nella stagione dei malanni.