Con OD: Knock, Hideo Kojima spalanca di nuovo le porte dell’ignoto, promettendo un orrore che si annuncia più intimo e disturbante che mai. Il progetto, nato dall’incontro fra la sua creatività e l’ecosistema Xbox, prende forma in Unreal Engine e intreccia recitazione d’autore, linguaggio cinematografico e interattività estrema.

Un’alleanza tecnologica che spinge i confini del terrore digitale
Per la prima volta, Kojima Productions lavora fianco a fianco con Xbox Game Studios, una sinergia che, secondo Phil Spencer, ha permesso di sperimentare soluzioni invisibili all’occhio ma decisive per il coinvolgimento emotivo. Alimentato dall’Unreal Engine, OD: Knock punta non soltanto a stupire con la nitidezza delle luci o con la matericità delle ombre, ma a ridisegnare le regole stesse della fruizione dell’horror interattivo. L’infrastruttura Xbox garantisce calcoli complessi in tempo reale, lasciando che la regia di Kojima resti libera di orchestrare un incubo dal ritmo cinematografico e, al tempo stesso, imprevedibilmente giocabile.
La potenza dell’ecosistema Xbox non si misura soltanto in definizione dell’immagine o fluidità del movimento: dietro le quinte operano tecnologie proprietarie che hanno consentito a Kojima Productions di inseguire idee altrimenti impraticabili. L’Unreal Engine, sostenuto dall’infrastruttura cloud di Microsoft, diventa così il laboratorio in cui si fondono interattività e narrazione. Spencer lo definisce “qualcosa di unico, audace e immediatamente riconoscibile”; un giudizio che si accorda con l’intento di Kojima di innalzare il livello del terrore videoludico, mirando a un’esperienza che, parole sue, potrebbe far «fare la pipì nei pantaloni» anche al giocatore più coraggioso.
Quando la paura prende la forma di un semplice colpo alla porta
La scena sonora scelta per il teaser non è un trucco qualunque: un bussare ossessivo, scandito da un’eco metallica, si impossessa dello spazio auditivo fin dal primo fotogramma, trasformando l’attesa in disagio. Hideo Kojima ha confessato che proprio quell’urto improvviso contro il legno di una porta incarna la sostanza stessa del suo spavento primordiale. “Il mio timore più grande è il colpo inatteso,” ha rivelato al pubblico, chiarendo che l’intero progetto ruoterà attorno alla nevrosi generata da ciò che arriva senza preavviso. In OD, il suono diventa il primo nemico: non si limita a introdurre la minaccia, ma la materializza, bussando direttamente nella mente del giocatore.
Questo concetto di terrore uditivo si intreccia con un’altra idea cara all’autore: il confine fragile tra ciò che è dentro e ciò che resta fuori. Il bussare, quindi, non rappresenta soltanto l’arrivo di qualcosa di sconosciuto, bensì la rottura di un equilibrio, la violazione di uno spazio considerato sicuro. Kojima sfrutta la meccanica per mettere in discussione le certezze del giocatore, costringendolo a chiedersi se valga davvero la pena aprire quella soglia immaginaria. Il rumore, ritmato quasi come un contatore Geiger, diventa progressivamente più vicino, più urgente, più inevitabile, trasformando il gesto di premere un semplice tasto in un atto di coraggio estremo.
Una casa maledetta e una carta rossa
Nel filmato, la presenza scenica di Sophia Lillis è immediatamente magnetica: la giovane attrice avanza lungo corridoi coperti di polvere, avvolta da luci intermittenti che lasciano intravedere pareti rigonfie d’umidità e fotografie sbiadite. Tra le dita stringe una enigmatica carta rossa, apparentemente l’unica chiave in grado di rivelare la verità sepolta in quella dimora. L’atmosfera richiama memorie scomode di rituali dimenticati: candele consumate dal tempo disegnano un percorso che confluisce in una stanza segreta, dove un altare inquietante sembra pulsare di vita propria. Chi ha amato l’estetica disturbante dei “bambini” di Death Stranding riconoscerà in quegli oggetti un richiamo sottile, mai citato esplicitamente ma percepibile, a un universo di simboli oscuri.
L’escalation visiva culmina quando un’ombra gracile e allo stesso tempo minacciosa emerge alle spalle della protagonista. In quell’istante, il bussare si confonde con il ticchettio di un contatore Geiger, suggerendo la presenza di un male forse radioattivo, forse sovrannaturale, comunque impossibile da confinare nelle categorie consuete. La figura afferra Lillis con brutalità, e la telecamera — complice di un linguaggio a metà fra cinema d’autore e interazione — stringe sui suoi occhi dilatati, offrendo allo spettatore la sensazione scomoda di vivere un trauma in tempo reale. La sequenza si interrompe di colpo: non si capisce se per pietà o per crudeltà, lasciando quel vuoto narrativo che riflette la frattura subita dalla protagonista.
Dal Tokyo Game Show alla nostra poltrona: l’horror interattivo secondo Kojima
La prima apparizione pubblica di OD: Knock è arrivata durante lo streaming “Kojima Productions: Beyond the Strand”, organizzato in occasione del Tokyo Game Show 2025. Kojima ha offerto soltanto un assaggio controllatissimo del suo nuovo lavoro, preferendo che fosse il linguaggio visivo a parlare anziché dati di vendita o milestone tecniche. Sul palco ha condiviso la filosofia alla base del progetto, illustrando come l’idea di fondere cinema e videogioco non sia un vezzo, bensì un modo per liberare il giocatore dall’abitudine di distinguere fra passivo e attivo. In quel contesto, il trailer è stato accolto da un silenzio teso, tanto che si poteva quasi avvertire il brivido collettivo attraversare la platea virtuale.
Nella stessa presentazione è arrivata la conferma del cast, capace di coniugare talento emergente e icone del grande schermo: oltre a Sophia Lillis, sono coinvolti Hunter Schafer e il veterano Udo Kier. Un ensemble scelto con cura per incarnare personaggi che, nelle parole del creatore, “non devono interpretare la paura, ma farci sentire fragili”. Quasi con leggerezza, Kojima ha regalato al pubblico una delle sue frecciate beffarde: “È un gioco davvero spaventoso; potrebbe farvi pentire di aver lasciato la luce spenta”. Eppure dietro quell’ironia si intravede l’ambizione di superare i confini del terrore videoludico, scandendo nuovi parametri per ciò che definiamo esperienza narrativa.