Mentre forti raffiche di vento alimentano i fronti di fuoco, la Grecia vive ore di apprensione: 4.850 vigili del fuoco e 62 velivoli sono schierati su più regioni per contrastare le fiamme che hanno aperto nuovi fronti in Peloponneso, Egeo Settentrionale ed Epiro.

Allerta estesa in tutto il Paese
Il bollettino del corpo nazionale, rilanciato dal portavoce Vasilis Vathrakogiannis, non lascia spazio all’ottimismo. Il pericolo di ulteriori roghi resta “molto alto” in gran parte delle regioni; lo confermano le previsioni, che indicano venti sostenuti e temperature elevate anche nelle prossime ore. Dalla centrale operativa partono continui messaggi di evacuazione indirizzati ai cittadini tramite il sistema di allerta civile. Le sirene degli altoparlanti e i beep dei cellulari hanno scandito la notte di migliaia di persone, costrette a raccogliere in fretta documenti e ricordi prima di abbandonare le proprie abitazioni.
L’apparato di soccorso sta lavorando su fronti distanti centinaia di chilometri: dal nord dell’Epiro alla punta meridionale del Peloponneso. I velivoli antincendio sorvolano un territorio frammentato, sospesi tra colonne di fumo che rendono visibilità e manovre estremamente complesse. Canadair, elicotteri Erickson e droni di monitoraggio collaborano con mezzi di terra che, spesso, devono aprirsi varchi in aree impervie. Il frastuono dei rotori accompagna il crepitìo degli alberi in fiamme, mentre gli operatori cercano disperatamente linee di contenimento.
Peloponneso: devastazione nell’Acaia, evacuati decine di insediamenti
Nell’unità periferica dell’Acaia, a sud di Patrasso, due vasti incendi — uno partito nei pressi di Sichena e l’altro nei dintorni di Kato Achaia — hanno trasformato la zona in un deserto di cenere. Le fiamme, spinte dal vento verso la costa, hanno inghiottito abitazioni, automobili e capannoni industriali del polo produttivo di Patrasso. Le autorità hanno disposto l’evacuazione di Kato Achaia, Vrachnaika e di oltre venticinque insediamenti limitrofi: un esodo che ha impegnato pullman, ambulanze e file di auto private in un convulso serpentone di luci di emergenza.
Chi è riuscito a tornare fra le rovine descrive tetti collassati, strade invase da carcasse di veicoli e mucchi di metallo contorto là dove un tempo sorgevano le fabbriche. Le squadre antincendio, nonostante turni estenuanti, continuano a presidiare i confini dei villaggi per evitare che scintille vengano riaccese dal vento. L’approvvigionamento idrico è complicato: alcune condutture sono state danneggiate e le autobotti devono fare lunghi tragitti per rifornirsi. A peggiorare la situazione, piccoli focolai saltano oltre le linee di difesa, rendendo necessario rilanciare l’ordine di evacuazione a intervalli regolari.
Il dramma dell’isola di Chio
Spostandosi a nord-est, sull’isola di Chio, l’incendio esploso nella zona montuosa di Amani ha ridisegnato il profilo del paesaggio. Pinete secolari e terreni agricoli sono stati divorati in poche ore, costringendo all’abbandono interi insediamenti rurali. Dalla costa, colonne di fumo si elevano come muraglioni grigio-neri, visibili perfino dalle isole vicine. I residenti rievocano il cupo boato degli alberi che implodono sotto il calore, interrotto solo dal sibilo delle pale degli elicotteri impegnati nei lanci d’acqua.
L’impervia orografia ha reso indispensabile il supporto della Guardia Costiera, che con sette motovedette — affiancate da diversi scafi privati — ha tratto in salvo 63 persone rimaste intrappolate sulle spiagge di Limnià e Agia Markella. Molti hanno atteso ore con il mare alle spalle e le fiamme davanti, finché le barche non sono riuscite a raggiungerli. Nei racconti dei soccorritori, lo sguardo attonito dei bambini e il silenzio incredulo degli anziani che stringevano borse di plastica colme di medicine e fotografie.
Epiro, interi villaggi colpiti e centro rifugiati sgomberato
Nella regione dell’Epiro, il rogo divampato nel comune di Ziros ha inghiottito tetti e fienili nei villaggi di Agios Georgios e Pantanassa. I residenti hanno assistito impotenti alla distruzione di abitazioni e stalle, mentre interruzioni di corrente hanno isolato intere contrade. Il buio, illuminato solo dai bagliori arancioni delle fiamme, ha reso ancor più drammatica la fuga verso le aree di raccolta predisposte dalla protezione civile. Oltre ai danni materiali, i pastori lamentano la perdita di capi di bestiame rimasti intrappolati nei recinti.
Poche decine di chilometri più a nord, a Filippiada, è stato necessario sgomberare un centro di accoglienza per richiedenti asilo. Gli operatori umanitari hanno organizzato il trasferimento dei migranti verso strutture più sicure, con l’aiuto di pullman messi a disposizione dalle autorità locali. Per molti ospiti, fuggiti da conflitti lontani, l’apparizione improvvisa del fuoco ha riaperto ferite mai rimarginate. Durante le operazioni un vigile del fuoco ha riportato ustioni, sommandosi all’elenco dei colleghi feriti negli altri fronti.
Vigili del fuoco allo stremo delle forze
Mentre gli incendiari restano ignoti, a pagare il prezzo più alto sono gli operatori sul campo. Nel Peloponneso tre pompieri hanno accusato sintomi di ipertermia e sono stati trasportati in ospedale, dove hanno ricevuto terapie di reidratazione. Un quarto, impegnato in Etolia-Acarnania, ha riportato una grave lesione a un arto superiore dopo il crollo di un albero bruciato. Ogni sirena di ambulanza ricorda quanto sottile sia il confine fra eroismo quotidiano e rischio fatalmente calcolato.
Nonostante turni che superano le venti ore, gli equipaggi rifiutano il cambio finché l’ultimo focolaio non viene circoscritto. Le maschere filtranti consumate, le divise impregnate di fuliggine e il volto segnato dal calore raccontano la stanchezza di uomini e donne che, giorno dopo giorno, tornano in linea senza tentennare. È nella loro determinazione che la popolazione individua la speranza di poter rientrare presto a casa, quando la mappa del fuoco sarà finalmente spenta.